martedì 7 luglio 2015
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Illegio è un piccolo borgo in un minuscolo pianoro tra le montagne della Carnia, in Friuli. Quassù la Chiesa ha aperto una strada coraggiosa, portando tra le case di questi 350 montanari oltre 200 mila persone, in 11 anni, per ammirare opere d’arte straordinarie, fino a trasformare l’incontro della fede con la bellezza in un laboratorio di promozione sociale e di evangelizzazione innovativa. «È l’esempio che le minoranze creative e le periferie vitali sono davvero una risorsa grande per il cristianesimo», spiega don Alessio Geretti. A Illegio si è voluto dire che le opere dell’ingegno umano e della genialità degli artisti appartengono tanto alle grandi capitali del mondo quanto a chi ogni giorno porta nella vecchia latteria del paese quel che ha munto nella stalla vicina a casa e ogni sera canta a compieta i salmi in latino con melodie di mille anni fa. Undici mostre internazionali a Illegio, 7 straordinarie, una a Bruxelles, una nei Musei Vaticani, una a Palazzo Venezia a Roma, una a Palazzo Borromeo a Roma, tre a Roma per l’Anno della fede: è solo una parte dell’attività di promozione della bellezza da parte del Comitato di San Floriano (il patrono di questo paese). Senza contare 16 libri di arte e di storia; un doppio Cd sul patrimonio musicale liturgico di tradizione orale; importanti campagne di scavi archeologici; una serie di eventi culturali (incontri, concerti, teatro, opera); molti restauri di opere d’arte del patrimonio nazionale ed europeo. E in queste settimane la nuova mostra "L’Ultima Creatura. L’idea divina del femminile", presso la Casa delle Esposizioni, fino al 4 ottobre 2015, con il massimo capolavoro di Caravaggio, del 1599, Giuditta e Oloferne. Don Geretti ne è il curatore, mentre la Regione Friuli Venezia Giulia, con la presidente Debora Serracchiani, ne coordina il sostegno da parte di numerosi sponsor pubblici e privati. «C’è tutto, in quel quadro, nel fascino del viso perfetto e contratto della paladina di Israele, nei solchi sul volto della vecchia sua serva, nel volteggio misterioso del tendaggio di sfondo, nel sangue che zampilla dal collo del nemico sconfitto – spiega don Geretti –. La tela di Caravaggio è una sintesi potente di tante sorprendenti donne protagoniste delle pagine bibliche: Eva, Sara, Rebecca, Rachele, Tamar, Miriam, Debora, Giaele, Dalila, Betsabea, Rut, Ester, Giuditta». Donne che confondono gli uomini, avvincono Dio, sono piene di una grazia che in esse diventa forza di combattimento, virtù indomabile. Nel percorso da Eva a Maria, le donne non vacillano mai. Le Scritture e le arti rendono omaggio alla loro bellezza, che esse portano senza vanto, concentrate su una missione da perseguire: tracciare una via per la quale Dio stesso dovrà incamminarsi se vorrà arrivare a noi. La mostra "L’ultima creatura. L’idea divina del femminile" ripercorre l’Antico Testamento e attinge a trenta musei (dagli Uffizi ai Vaticani, dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia alla quadreria del Quirinale), per raccontare con colpi di scena tra pitture vibranti e sculture in bronzo, dal XV al XX secolo, questa storia sacra al femminile. Accanto al capolavoro di Caravaggio, quaranta opere, a firma di Pinturicchio e Palma il Giovane, Gentileschi e Rubens, Ricci e Piazzetta, fino ad Hayez e ai novecenteschi Messina e Spadini, rendono presente, evocandone moltissimi altri esempi, la produzione immensa di bellezza su tela della storia dell’arte cristiana, che si concentra sul fascino spirituale e sull’avvenenza corporea delle donne di Dio. «E ripropone il femminile – sottolinea ancora don Geretti – come un simbolo che accende il pensiero e strugge i sensi: non a caso, nell’arte il corpo della donna, velato o svelato, è l’occasione – la mostra lo fa comprendere – per riflettere nei secoli su cos’è la bellezza e sul potere di elevazione o di rovina che essa ha nei confronti dello spirito umano». Ma a sentire il curatore e i suoi collaboratori, a cominciare dall’arcidiacono di Tolmezzo, monsignor Angelo Zanello, altri profili sono decisamente interessanti e di stretta attualità. «Tanto per la sua struttura biologica e fisiologica quanto per la sua propensione a ciò che è nobile e raffinato, la donna così come viene "interpretata" dalla mostra – conclude Geretti – manifesta che la vocazione dell’umano non è l’affermazione di sé e la preoccupazione per i propri appetiti, ma la dedizione di sé nell’amore e la partecipazione a un "ordine superiore" che esige cura per l’interiorità e per ogni possibile finezza, sino a quella della relazione con Dio. Altroché il gender e le teorie che pretendono di ignorare perfino l’evidenza. La differenza irriducibile tra maschio e femmina è un’indicazione sul destino dell’umano, il cui senso appare magnifico all’occhio della fede: perciò l’ultima creatura che Genesi fa entrare in scena è una donna, e perciò l’ultima voce che risuona nella Sacra Scrittura, nell’Apocalisse, è di donna, è la voce della Chiesa, sposa di Dio, che invoca il suo divino Consorte».
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