giovedì 29 settembre 2016
Il vecchio Tolstoj e la notte oscura
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Non potrei più rinviare e temporeggiare. Inutile esitare e riflettere più a lungo su ciò che ho da dire. La vita non aspetta. La mia esistenza è già sul declino e a ogni istante può spegnersi. Se posso ancora rendere qualche servizio agli uomini, se posso farmi perdonare i miei peccati, la mia vita oziosa e sensuale, è soltanto insegnando agli uomini, miei fratelli, ciò che mi è stato dato di comprendere più chiaramente di loro; ciò che da molti anni mi tormenta il cuore. Tutti gli uomini sanno, come me, che la nostra vita non è quella che dovrebbe essere, e che reciprocamente ci rendiamo infelici. Sappiamo che per essere felici e per rendere felici gli altri bisogna amare il prossimo come noi stessi e, se ci è impossibile fargli ciò che vorremmo ci fosse fatto, almeno non gli facciamo ciò che non vogliamo sia fatto a noi.

È quel che insegnano le religioni di tutti i popoli e la ragione e la coscienza di ognuno di noi comandano. La morte dell’involucro corporeo che ogni momento ci minaccia, ci richiama al carattere effimero di tutti i nostri atti; così l’unica cosa che possiamo fare e che può procurarci la felicità e la serenità, è obbedire ogni momento a ciò che la nostra coscienza ci comanda, se non crediamo alla rivelazione; a obbedire all’insegnamento di Cristo, se ci crediamo. In altri termini, se non possiamo fare al prossimo ciò che vogliamo sia fatto a noi, almeno non gli facciamo ciò che non desideriamo per noi. Sebbene tutti conosciamo da molto tempo questa verità, invece d’attuarla gli uomini uccidono, rubano, violentano.

Così, invece di vivere nella gioia, nella tranquillità e nell’amore, essi soffrono, penano e non provano che odio o paura gli uni per gli altri. Dappertutto, su tutta la terra, gli uomini cercano di dissimularsi la loro vita insensata, di dimenticarsi, di soffocare la loro sofferenza, senza potervi riuscire. Così, il numero di coloro che smarriscono la ragione e si suicidano aumentano di anno in anno, poiché è al disopra delle loro forze sopportare una vita contraria alla natura umana. 

Ma, si dirà, forse è necessario che la vita sia tale; necessaria l’esistenza degli imprenditori, dei re, dei governi, dei parlamenti che comandano milioni di soldati provvisti di fucili e di cannoni, pronti a ogni istante a gettarsi gli uni su gli altri; necessarie le fabbriche e le officine che producono oggetti inutili e nocivi, dove milioni di uomini, di donne e di fanciulli sono trasformati in macchine, faticando 10, 12 e 15 ore al giorno; necessari il crescente spopolamento dei villaggi e l’affollamento progressivo della città coi loro cabaret, i loro asili notturni, i loro rifugi per l’infanzia e i loro ospedali; necessaria la carcerazione di centinaia di migliaia di uomini. 

 Forse è necessario che i matrimoni diminuiscano sempre più, che la prostituzione e gli aborti aumentino ogni giorno e che gli uomini si abbandonino sempre più allo stravizio. Forse è necessario che la dottrina di Cristo, che insegna la concordia, il perdono delle offese, l’amore del prossimo, del nemico, sia inculcata agli uomini da preti di sètte innumerevoli in continua lotta fra loro, e ciò sotto forma di favole stupide e immorali sulla creazione del mondo e dell’uomo, sul suo castigo e la sua redenzione da parte di Cristo, e su questo o quel rito; questo o quel sacramento. 

Forse, tale stato di cose è naturale all’uomo, come è proprio delle formiche e delle api vivere nei loro formicai e nei loro alveari in lotte continue e senz’altro ideale. Forse è la legge degli uomini, mentre il richiamo della ragione e della coscienza a un’altra vita amorosa e lieta non è che un sogno, e non si saprebbe immaginare una vita diversa da quella di oggi. È infatti così che parlano certuni. Ma il cuore umano non vuole crederci. Esso si è sempre rivoltato contro la vita di menzogna e ha sempre invitato gli uomini a lasciarsi guidare dalla ragione e dalla coscienza; ai giorni nostri, fa più che mai urgente questo appello. Non esistevamo per secoli, per millenni, per un’eternità; poi, eccoci sulla terra, viventi, pensanti, amanti, in godimento della vita. 

Ora, possiamo vivere fino a settant’anni – se pur arriviamo a quest’età, giacché possiamo anche non vivere che qualche giorno, qualche ora – nel cruccio e nell’odio o nella gioia e nell’amore; possiamo vivere con la coscienza di far male, oppure di compiere, anche imperfettamente, ciò che possiamo credere il nostro dovere. «Ravvedetevi, ravvedetevi, ravvedetevi!... » gridava agli uomini Giovanni Battista. «Ravvedetevi...», diceva Cristo. «Ravvedetevi», diceva la voce di Dio come la voce della coscienza e della ragione. Anzitutto, fermiamoci ognuno in mezzo alle nostre occupazioni, ai nostri piaceri, e domandiamoci: “Facciamo noi quel che dobbiamo, o invece spendiamo inutilmente la nostra vita, questa vita che ci è dato passare fra due eternità di nulla?”. 

So molto bene che, sotto la spinta degli uomini, come un cavallo che fa girare una ruota, ci è impossibile fermarci per riflettere un istante. Gli uni ci dicono: «Non tante riflessioni, ma azioni». Altri affermano: «Non bisogna pensare a sé, ai propri desideri, quando l’opera al cui servizio ci troviamo è quella della nostra famiglia, del-l’arte, della scienza, del commercio, della società; tutto per l’interesse generale ». Altri assicurano: «Tutto è stato da tempo pensato e provato, nessuno ha trovato di meglio; viviamo la nostra vita, ecco tutto». Altri, infine, pretendono: «Riflettere o non riflettere è tutt’uno; si vive, poi si muore; il meglio è dunque vivere per il proprio piacere. Quando si vuol riflettere, ci si avvede che la vita è peggiore della morte e si attenta ai propri giorni.

Dunque basta col riflettere: viviamo come possiamo». Non ascoltate queste voci; a tutte le loro ragioni, rispondete semplicemente: «Dietro di me vedo l’eternità durante la quale non esistevo; davanti a me sento la stessa notte infinita dove la morte può ogni momento inghiottirmi. Attualmente io vivo e posso – io so che posso – chiudendo volontariamente gli occhi, cadere in un’esistenza piena di miserie; ma so che aprendoli per guardare intorno a me, posso scegliere; l’esistenza migliore e la più felice.

Così, checché dicano le voci, quali che siano le seduzioni che mi attirano, per quanto io sia preso dall’opera che ho incominciata, e trascinato dalla vita che mi circonda, mi fermo, esamino, rifletto». Ecco ciò che tenevo a ricordare ai miei simili, prima di tornare nell’infinito. ( Traduzione di Adriano Vettori)

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