martedì 18 agosto 2015
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Circa sessanta dipendenti, trecentocinquanta collaboratori esterni (tra disegnatori, sceneggiatori, coloristi, letteristi) e una dozzina di serie regolari in edicola. Alle quali vanno aggiunte ristampe, speciali e fuori serie vari per una media di circa 20/25 uscite mensili. La Sergio Bonelli Editore è in Italia sinonimo stesso di fumetto, più ancora di grandi character  come Asterix, Tintin, Dragonball e i supereroi Marvel nei loro paesi d’origine. Questa impresa artigianale nata 75 anni fa per merito di Gianluigi Bonelli, e proseguita dalla moglie Tea, si è trasformata in significativa esperienza culturale con il figlio Sergio, lui stesso – col  nome de plume di Guido Nolitta – autore di classici come Zagor e Mister No. Una “fabbrica di storie” popolata da Tex, il simbolo stesso della casa editrice, il più longevo fumetto seriale del mondo, che incarna valori come rettitudine e giustizia, con Zagor che difende deboli e oppressi di qualsiasi colore ed etnia, mentre Dylan Dog svela “mostri” e orrori quotidiani. Nathan Never è la fantascienza romantica, Martin Mystère insegue un volontà di conoscenza non occasionale, unendo l’avventura ad «un vibrante interrogazione sulle sorti e il significato della vita umana» (Salvarani).

Mauro Marcheselli da alcuni anni tiene le redini editoriali di questo “patriarcato” del fumetto. La sua vicenda personale d’altra parte sembra una storia: da lettore vorace a critico (del nucleo storico della rivista “Fumo di china”), poi sceneggiatore e redattore, infine direttore editoriale della più prestigiosa casa editrice d’Italia e forse d’Europa. Se non è una storia a lieto fine la sua, Marcheselli… «Alla base di tutto una grande passione per il fumetto e la fortuna di aver fatto la gavetta, qui in redazione, con grandi maestri come Sergio Bonelli, Decio Canzio, Maria Baitelli e colleghi di lavoro di nome Tiziano Sclavi, Alfredo Castelli, Mauro Boselli…». Tex e Dylan Dog, ma anche Ken Parker, Martin Mystère e Zagor sono personaggi che hanno cresciuto intere generazioni e – seppur in maniera differente – sono ormai parte integrante dell’immaginario collettivo. Qual è la forza di questi character storici della casa editrice? «In effetti i nostri personaggi, in questi settant’anni di vita della casa editrice, sono riusciti a incontrare i gusti e i favori di svariate generazioni. Merito della qualità degli autori che hanno collaborato e di quelli che collaborano con noi. La Bonelli vende fantasia e non è una materia prima che trovi al supermercato. Sergio Bonelli, che per più di cinquant’anni è stato l’anima di questa casa editrice, sapeva scegliere i suoi collaboratori: non è un caso se tutti i più grandi autori di fumetti italiani hanno lavorato per lui». La crisi attanaglia l’Italia già da sette anni. Il fumetto non è immune. Si perdono lettori di carta. Qual è la situazione in casa Bonelli? Web e fumetto è un’impossibile alleanza? «La crisi c’è, ma i conti sono a posto. Personalmente sono molto ottimista sul futuro. Per quanto riguarda il web, non ho mai creduto che potesse sostituire il cartaceo (ma, quando scrivevo per “Fumo di china” avevo anche predetto che i manga non avrebbero mai attecchito in Italia, dunque…). Comunque, stiamo lavorando perché i lettori possano trovare i nostri fumetti (ma per ora non gli inediti) anche sul digitale». In queste ultime stagioni avete comunque rilanciato con numerose novità. E altre sono dietro l’angolo. Indubbiamente ha fatto scalpore il rinnovamento editoriale di Dylan Dog. «Una casa editrice, in quanto tale, per restare sul mercato deve continuamente proporre prodotti nuovi, nel nostro caso fumetti. Come da tradizione noi alterniamo serie e personaggi che definirei “classici”, come “le Storie”, “i Romanzi” o “Saguaro” e “Adam Wild”, ad altri più moderni, tipo “Orfani”, “Dragonero” e “Morgan Lost”, di prossima pubblicazione. Dylan Dog è una delle colonne della Bonelli. L’anno prossimo festeggerà i trent’anni di presenza in edicola. Aveva bisogno di un restyling e in accordo con il suo creatore, Tiziano Sclavi, si è deciso di affidarne la cura editoriale a Roberto Recchioni, a mio parere uno dei migliori autori (e non solo) in circolazione, che sta facendo un ottimo lavoro». Lo stesso Indagatore dell’incubo,  insieme a Zagor, Mister No e soprattutto Martin Mystere, sono spesso protagonisti di campagne sociali, contro la droga, contro l’abbandono degli animali e a favore dell’integrazione per i disabili. Da dove viene questo affratellamento?  Può il fumetto far breccia più o come una fotografia di Oliviero Toscani o un’opera di Catellan?  «Sui fumetti Bonelli sono sempre apparse campagne ecologiste o sociali. E spesso abbiamo concesso gratuitamente i nostri personaggi come testimonial per iniziative analoghe quando ci sono stati richiesti. Per noi è sempre un motivo di orgoglio, perché evidentemente vengono ritenuti personaggi eticamente e moralmente positivi». La SBE non ha mai voluto pubblicità sui suoi albi a fumetti. Perché? «Sergio Bonelli aveva un grandissimo rispetto per i suoi lettori e si è sempre opposto all’inserimento della pubblicità perché non gli piaceva l’idea che le storie potessero essere interrotte (come in tv) da pagine che esaltavano yogurt o formaggini. Non si interrompe un’emozione. Come pure è sempre stato contrario all’inserimento di gadget negli albi da edicola». Formato Bonelli, avventura matura, bianco e nero: sono state per decenni caratteristiche della SBE. Ora il colore galoppa in molte pubblicazioni, “Orfani” è una serie che ha per protagonisti bambini e “4 Hoods” sarà la prima collana per bambini (accompagnata da “Dragonero”, l’esordio del genere fantasy della SBE). Una rivoluzione. «Credo che, per quanto ci riguarda, la nostra crisi in parte è legata al fatto di non riuscire più ad attrarre come nei tempi passati i lettori delle nuove generazioni. Una volta, del resto, arrivavano ai nostri personaggi passando dalle pubblicazioni a fumetti di altre Case editrici specializzate nel target adolescenti. Oggi le cose sono cambiate e così abbiamo deciso di provare ad andarceli a prendere direttamente con dei fumetti e dei personaggi tagliati su misura per un pubblico più giovane di quello che tradizionalmente ci segue. Sarà un’impresa ardua e difficile, ma siamo fiduciosi». Alfredo Castelli, uno dei più importanti sceneggiatori italiani, sta celebrando i suoi 50 anni nel fumetto. La serie da lui ideata, “Martin Mystère”, e da voi edita, è una sorta di spartiacque all’interno della casa editrice. La prima in cui il protagonista vive il nostro presente, e con ambito avventuroso completamente nuovo: il mistero scientificamente e storicamente documentato. Anticipando tanti fortunati programmi tv. «Alfredo, che in questo momento è seduto alla scrivania dell’ufficio di fianco al mio, è stato uno degli artefici del successo della Sergio Bonelli Editore, e non solo per aver creato Martin Mystère. La prima volta che venne in redazione aveva i calzoni corti e ancora oggi prosegue a dare il suo prezioso contributo (tra una celebrazione e l’altra…)». Marcheselli, lei ha scritto una decina di storie per Dylan Dog, poi il suo nome è scomparso dagli sceneggiatori della serie. Ma ha firmato storie indelebili come  Il lungo addioFinché morte non vi separi, Totentanz  e Johnny Freak,  giudicate da pubblico e critica tra le migliori dell’intera serie. Unendo romanticismo e amicizia, e toccando il tema della diversità. Come si fa a scrivere episodi del genere? Tornerà a scrivere?  «Ogni tanto la voglia mi prende, ma ideare storie non è semplice, devi avere l’idea, coltivarla, farla sbocciare e magari anche accantonarla, se capisci che non riesci a trovare un finale degno…Ci si deve dedicare del tempo, avere la mente sgombra da altri pensieri. Attualmente, anche per colpa (o merito) del mio ruolo in questa prestigiosa Fabbrica dei Sogni, non avrei la predisposizione mentale giusta. Magari quando, come l’Ispettore Bloch, andrò in pensione…». 

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