sabato 23 gennaio 2016
​Un ensemble italiano dà nuova vita agli strumenti musicali adoperati nel ghetto cèco durante la Shoah. Lo scrittore Matteo Corradini ha recuperato tredici pezzi  e requisiti nel 1943 dai nazisti: verranno utilizzati nello spettacolo che debutterà a Piacenza tra una settimana, basato sulle canzoni degli internati appositamente ricostruite dal musicista Enrico Fink.
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Il primo è stato un clarinetto. Lo scrittore Matteo Corradini lo scovò da un rigattiere di Praga nel 2009, mentre lavorava al suo libro sul ghetto di Terezín, nella Repubblica Ceca: una ex cittadella militare tra le cui mura gli ebrei conducevano un’esistenza che, a dispetto della persecuzione, doveva conservare un’apparenza di normalità. I bambini andavano a scuola, per esempio, e i loro disegni erano spesso esibiti dalle autorità naziste come dimostrazione delle buone condizioni di vita all’interno dei campi di concentramento. Le arti, in generale, erano incoraggiate. Si componeva musica, come in molti altri lager. E si organizzavano concerti, approfittando del fatto che alcuni internati avevano portato con sé i loro strumenti. «Ma c’è un altro aspetto importante – spiega Corradini –. Nel 1943, al momento dell’occupazione, le autorità tedesche requisirono i magazzini della Zalud, una fabbrica attiva a Terezín fin dall’Ottocento. Era un’impresa familiare, specializzata nella realizzazione di legni e ottoni, ma anche di violini e mandolini. Gli strumenti furono distribuiti tra gli ebrei, in modo da rafforzare la finzione propagandistica del ghetto-modello. Quando mi sono imbattuto nel famoso clarinetto ho riconosciuto subito la marca e mi sono detto che sì, sarebbe stato bello se uno strumento come quello avesse fatto sentire ancora una volta la sua voce».  Adesso, a sette anni e due libri di distanza (La repubblica delle farfalle, edito da Rizzoli nel 2012, e La pioggia porterà le violette di maggio, uscito da Einaudi Scuola nel 2014), il progetto di riportare in vita la musica dei perseguitati diventa sempre più concreto. Sabato 30 gennaio debutterà infatti al Teatro Municipale di Piacenza Wiegenlied: ninnananna per l’ultima notte a Terezín, lo spettacolo che inaugura l’attività della Pavel Zalud Orchestra; il giorno dopo si replica subito al Teatro Verdi di Monte San Savino, in provincia di Arezzo (per informazioni www.terezin.it). Corradini, voce recitante sulla scena, è l’ideatore, mentre la direzione è affidata a Enrico Fink, uno dei più sensibili e competenti interpreti della musica popolare ebraica. L’orchestra costituisce l’evoluzione del Pavel Zalud Quartet, fondato da Corradini e Fink già nel 2013: un racconto che seguiva la falsariga della Repubblica delle farfalle (da cui è stato tratto anche il monologo interpretato lo scorso anno a Terezín dal grande attore inglese Ben Kingsley), inframmezzato da un commento musicale eseguito con strumenti Zalud. «Il clarinetto di cui sopra e un ottavino – precisa Corradini –, più una fisarmonica moderna. Nel frattempo però la collezione è andata avanti, ora come ora si compone di tredici pezzi. Di recente ho avuto modo di conoscere gli ultimi discendenti della famiglia Zalud, che hanno avuto la bontà di farmi visitare il loro archivio. Dal punto di vista grafico e tipografico è una meraviglia: ci sono i vecchi schemi costruttivi, i cataloghi, i fascicoli con i prezzi. Ma di strumenti ne sono rimasti solo quattro. Quando hanno scoperto che io ne avevo rintracciati più del triplo, gli eredi sono rimasti abbastanza impressionati ». Diversi clarinetti e un paio di ottavini, un flauto e un basso tuba, un violino e un mandolino, una tambura (altro strumento a corda) e l’ultima arrivata: una tromba così leggera da sembrare un foglio d’ottone ripiegato ad arte. L’ensemble, abbastanza eterogeneo, è il risultato delle scorribande di Corradini tra le bancarelle dei mercati delle pulci. «Gli Zalud non erano strumenti ricercati – precisa Corradini –, erano destinati principalmente alle bande musicali, il loro valore sta tutto nella storia che rappresentano. Di solito, un clarinetto smette di dare un suono apprezzabile dopo una decina d’anni. Nella nostra orchestra ce ne sono alcuni costruiti quasi un secolo fa, eppure abbiamo voluto di utilizzarli ugualmente. Anzi, sono proprio loro a dare un senso all’impresa».  Il ragionamento vale, a maggior ragione, per il repertorio su cui si basa la struttura di Wiegenlied. Fink ha ricostruito sette delle canzoni composte a Terezín da Ilse Weber, un’ebrea praghese di lingua tedesca che nel ghetto era impiegata come infermiera pediatrica. Le sue ballate erano molto apprezzate dai prigionieri, tanto che i condannati a morte si facevano coraggio intonandole in coro. La stessa Weber, del resto, scelse di salire sul treno diretto ad Auschwitz pur di non separarsi dei bambini che le erano stati affidati. «È una questione di testimonianza», ribadisce Corradini, che ha scoperto la lingua e la cultura ebraiche frequentando le lezioni di Giulio Busi a Venezia. «Dal 2003 torno a Terezín ogni anno, più volte all’anno – dice – e mi rendo conto di quanto si stiano assottigliando le fila dei sopravvissuti della Shoah. Tra poco non ne resteranno più e dovremo trovare un altro modo per conservare la memoria di quello che è stato. Potremo continuare a visitare i luoghi, a contemplare gli oggetti che documentano lo sterminio. Ma gli strumenti musicali non sono oggetti come gli altri. Tornano in vita non appena qualcuno torna a suonarli. Noi ci stiamo provando». 
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