martedì 5 gennaio 2016
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«Gareggiate nello stimarvi a vicenda» scriveva san Paolo. In una società come la nostra, nella quale di giorno in giorno aumentano conflittualità, violente contrapposizioni e prepotenze, le parole dell’apostolo sembrano un monito destinato a rimanere inascoltato e inattuabile. La Chiesa si fa bella quando di questa società difende e cura i feriti che restano sul campo, anime mortificate e avvilite, smarrite dinanzi allo sbriciolarsi delle regole anche più elementari del legame sociale. La Chiesa si fa bella, ripete papa Francesco, quando, senza cedere alle insidie del Divisore che cerca di seminare rotture della fraternità, riconosce con animo commosso e grato il lavoro dello Spirito, che suscita e fa vivere in unità e armonia la molteplicità dei carismi, tutti destinati «all’utilità comune». Mentre l’anno dedicato alla vita consacrata volge al termine, facendo memoria delle parole di san Paolo, abbiamo chiesto ad alcune religiose di raccontare il buono che riconoscono e ammirano in un Ordine, in un carisma, diverso dal proprio. Suor Mary Melone, francescana angelina, rettore della Pontificia Università Antonianum, dedica parole di sincero apprezzamento per una Congregazione appartenente al carisma domenicano, che ben conosce. Nella storia delle due famiglie religiose, spiega, il ricordo dell’amicizia tra Francesco d’Assisi e Domenico di Guzman si è costantemente mantenuto vivo e si trasmette da sempre a tutti i seguaci di questi due santi. Inoltre, dice, «ho avuto modo di conoscere personalmente il carisma domenicano durante gli anni di studio trascorsi alla Lumsa, l’università guidata dalla congregazione delle Missionarie della Scuola. Di loro ammiro la serietà della dedizione allo studio, inteso come ricerca della verità, e la scrupolosa attenzione assicurata alla formazione culturale e professionale, in particolare delle donne e delle religiose». Suor Melone ha conosciuto molte Missionarie della Scuola che l’hanno colpita per la preparazione culturale e per le doti di educatrici; fra tutte conserva come ricordo prezioso l’incontro con la professoressa Edda Ducci, una vera maestra che trasmetteva agli studenti l’amore per il sapere e li affascinava con la sua passione per l’umano: «Al termine delle sue lezioni, che attendevamo quasi con impazienza da una settimana all’altra, ci sembrava di essere diventati anche noi più esperti di umanità!». Gli anni universitari hanno dato modo a suor Melone di constatare che l’incontro con religiose di Ordini diversi è stimolante e coinvolgente. La conoscenza e il confronto portano sempre a un’apertura feconda per tutti. «Forse – afferma – non è facile realizzare progetti pastorali o apostolici comuni, ma posso dire che la mia congregazione francescana continua ad affidare con molta stima, fiducia e gratitudine la formazione culturale e professionale delle giovani sorelle all’università domenicana».  Sin dagli inizi della sua ricerca spirituale madre Ignazia Angelini, benedettina, badessa del monastero di Viboldone, ha avuto una predilezione speciale per le Sorelle Povere di santa Chiara: «La capacità di Chiara di elaborare al femminile l’intuizione spirituale di Francesco, l’amore per la nudità di Cristo, la gratuita audacia della sua 'follia' per l’Evangelo e la fraternità umana che ne scaturisce, mi ha sempre profondamente colpito. La nudità della sequela di Gesù, coniugata al femminile, acquista toni di dolcezza e radicalità concreta che i frati di Francesco non conoscono così nitidamente ». Inoltre, sottolinea, il fatto che Chiara sia la prima donna a scrivere una Regola per le donne monache la rende una figura ricca di forza profetica. Madre Angelini mantiene costanti rapporti con diverse comunità e con alcune clarisse coltiva da anni anche legami di profonda amicizia: di tutte apprezza la carica di umanità semplice e fraterna, quel loro stile di semplicità cordiale, ricca di empatia: «Esso dice molto allo stile benedettino, che rischia sempre una ieraticità ingessata e sottilmente altera, saccente ». I testi di Chiara sono un riferimento costante per la madre benedettina: le Lettere, il Testamento, l’acceso dibattito ermeneutico che in questi ultimi anni si è intensificato, sostiene, appaiono ricchi di risonanza per le problematiche che oggi si vivono nel mondo monastico femminile: «Nelle cruciali sfide che siamo chiamate ad affrontare il riferimento a santa Chiara e alle donne monache che s’ispirano alla sua testimonianza ha molto da dire. Col risultato che le mie consorelle mi lanciano, con gentile ironia, la garbata accusa di 'meticciato': ma io ritengo che la complementarietà dei doni sia una ricchezza per tutti nella Chiesa. La parresìa di Chiara è una voce di Evangelo che, attraverso i suoi testi, si leva oggi alta». La teologa Cristiana Dobner, carmelitana scalza, guarda con riconoscenza e ammirazione al carisma benedettino: «Il mio stesso Ordine ha beneficiato della grazia donata da Benedetto, il padre del monachesimo occidentale, l’uomo che seppe fecondare con il Vangelo l’intero continente europeo e ne salvò anche la cultura. La Regola, che si fonda su tre pilastri, l’ascolto di Dio, il 'nulla anteporre a Cristo' e l’ora et labora, istituisce un equilibrio impareggiabile in cui si armonizzano l’aspetto passivo dell’ascolto, quello attivo della preghiera come risposta orante a Dio, e la concretezza dell’operare». Abituata e interessata a confrontarsi con monache benedettine, madre Dobner non solo nutre profonda stima per figure esemplari, come Ildegarda von Bingen, che hanno segnato la storia del monachesimo e la vita pubblica del loro tempo, ma anche per tutte quelle donne che, in una catena succedutasi lungo i secoli, hanno incarnato il carisma benedettino garantendone la vitalità sino ad oggi. «I legami tra Ordini femminili diversi sono molto importanti – aggiunge – e potrebbero anche essere maggiormente incoraggiati per evitare il rischio del ripiegamento e di uno sguardo autocentrato e favorire la koinonìa: nella autentica comunione si scoprono bellezze che altrimenti resterebbero celate». Della stessa opinione è Viviana Ballarin, suora domenicana di santa Caterina da Siena, che alla guida dell’Usmi è stata testimone e promotrice di occasioni di incontro, dialogo e collaborazione fra consacrate: «Penso che il futuro della vita religiosa in Italia e nel mondo non dipenderà dal numero delle vocazioni ma dal coraggio che avremo di vivere il Vangelo mettendo a servizio dei fratelli i nostri rispettivi carismi, ma insieme». Definendole 'vere maestre dello Spirito', Nadia Bonaldo, suora delle Figlie di san Paolo, per anni direttore editoriale delle Edizioni Paoline, rivolge parole di elogio alle monache trappiste (Cistercensi della Stretta Osservanza): «Il loro stile di vita mi sembra tenga conto di tutte le dimensioni della persona. La loro giornata, suddivisa in modo equilibrato tra preghiera, lavoro, vita comune, silenzio, meditazione, lettura risponde a un modo di vivere autenticamente umano, lontano da un facile consumismo ». Per quanti si affannano a rincorrere l’effimero e vivono nel caos e nella fretta, osserva, le 'trappe' si rivelano cuori pulsanti che sanno indicare il primato di Dio e la dignità di ogni persona, sono un continuo richiamo all’essenzialità e alla sobrietà. Quando può suor Bonaldo si ritira per brevi periodi di preghiera presso alcune comunità di trappiste dove negli anni ha costruito saldi rapporti: «Anche se i nostri stili di vita sono diversi sento che ci accomuna la ricerca continua di Dio e la sequela Christi per arrivare a un’intima comunione con Lui. La loro presenza mi ricorda di 'non anteporre nulla all’amore di Cristo'. Ammiro la profondità e la raffinatezza della loro vita spirituale, la frequentazione quotidiana e prolungata con la parola di Dio celebrata in una liturgia sobria e solenne». Si coglie gratitudine sincera per la passione generativa dello Spirito nelle risposte di queste religiose che, insieme a parole di stima, consegnano storie di legami genuini cercati e custoditi con serietà. Esercitare uno sguardo buono, che si fa complice del lavoro bello dello Spirito, modella un grembo ospitale di Chiesa nel quale possono trovare riparo e riprendere vita le folle che aspettano il tocco della tenerezza e della misericordia di Dio e gesti di liberazione dal male. Non è forse anche questo un tratto del 'genio femminile', la complicità con il Signore nella generazione?
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