venerdì 26 giugno 2015
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Oltre ottomila alberi per tenere viva la memoria del peggior crimine compiuto in Europa dopo la Seconda guerra mondiale, per simboleggiare la risurrezione di altrettante vittime innocenti. Mentre si avvicina il ventesimo anniversario del genocidio di Srebrenica, sono stati piantati i primi alberi del “Bosco della memoria 8372”, un progetto ideato dall’associazione bosniaca Muftijstvo Goraždansko con il sostegno del governo, del cantone e del comune. Per dar vita al primo complesso memoriale del genere in Bosnia è stata scelta una collina che domina la cittadina di Goražde, un’area di oltre quattro ettari di terreno al centro della quale sarà issato un grande fiore, simbolo di Srebrenica, verde al centro e circondato da undici petali bianchi. Ricorderà per sempre quello che accadde poco lontano da qui l’11 luglio del 1995, quando le truppe serbobosniache del generale Ratko Mladic trucidarono almeno 8.372 persone, in gran parte vecchi, bambini e ragazzi, macchiandosi del più grave atto di pulizia etnica delle guerre balcaniche degli anni ’90. Il parco ospiterà alberi di castagno, frassino e abete rosso – uno per ciascuna delle vittime del genocidio – oltre a diverse specie di piante, che si alterneranno a sentieri, terrazze con viste panoramiche e panchine per i visitatori. Sette arbusti saranno invece piantati per ricordare il mese del genocidio. Pochi giorni fa, nel corso della piantumazione delle prime piante, è stato spiegato che il progetto non è dedicato soltanto a Srebrenica, ma a tutte le vittime delle guerre, presenti e passate. «Dopo la Seconda guerra mondiale – ha detto il muftì di Goražde, Remzija Pitic – abbiamo detto “mai più”, ma purtroppo il mondo non ha imparato alcuna lezione da quello che è accaduto a Srebrenica, come possiamo vedere oggi in Siria, in Iraq, in Ucraina e in molti altre parti del mondo. Vogliamo che questo parco della memoria ricordi per sempre i drammi del passato e contribuisca a evitare che drammi simili si ripetano in futuro».  Il lancio del progetto “Bosco della memoria 8372” inaugura di fatto le commemorazioni che si terranno come sempre l’11 luglio ma che quest’anno assumono un carattere particolare per via di un ventennale che purtroppo non si annuncia privo di polemiche, sia per l’annunciata defezione del presidente serbo Tomislav Nikolic, che ha già declinato l’invito all’annuale cerimonia che si tiene nella piana di Potocari, il luogo dove si consumò il dramma, sia per la sentenza d’appello che qualche settimana fa ha confermato l’assoluzione di Thomas Karremans, il comandante olandese delle truppe Onu accusato di non aver protetto le migliaia di sfollati che finirono nelle mani degli uomini di Mladic. Non è un caso che un’iniziativa come quella del “Bosco della memoria 8372” nasca proprio a Goražde, piccola cittadina bosniaca di poco più di ventiduemila abitanti a meno di cento chilometri da Sarajevo, sulla riva sinistra della Drina. Nella primavera del 1994 si consumò qua un tragico assedio da parte delle truppe serbo-bosniache, che si fecero beffe delle risoluzioni Onu uccidendo centinaia di persone in poco più di un mese. Le postazioni di artiglieria dell’esercito serbobosniaco guidate dal generale Mladic, appostate sulle colline circostanti, bombardarono la città a un ritmo di tre granate al minuto, mentre i carri armati colpivano dalla riva destra della Drina. La presunta “zona di sicurezza” di Goražde che le Nazioni Unite avrebbero dovuto proteggere era in realtà destinata a rivelarsi un fallimento: l’enclave musulmana fu facilmente attaccata dai serbi, proprio come sarebbe accaduto l’anno dopo a Srebrenica, seppur con esiti assai più drammatici. Oggi, con un effimero senno di poi, si può affermare che la diplomazia internazionale avrebbe potuto – e dovuto – far tesoro di quanto accaduto a Goražde per evitare il genocidio di Srebrenica.UNA CITTADINA ANCORA DIVISA  Arroccata sulle montagne della Bosnia orientale a poca distanza dal confine con la Serbia, fino alla fine degli anni ’80 Srebrenica (nella foto a sinistra) è stata una tranquilla cittadina termale che richiamava visitatori e turisti da tutta l’ex Jugoslavia. Le guerre balcaniche del decennio successivo avrebbero legato il suo nome a quello dell’unico genocidio avvenuto in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto, gli accordi di Dayton del 1995 stabilirono che Srebrenica entrasse a far parte dell’entità serba della Federazione di Bosnia-Erzegovina (Repubblica Srpska), lasciando aperte tutte le contraddizioni e le ferite che il peso della memoria di quei fatti portava dietro di sé. Srebrenica è ancora oggi una città prigioniera del proprio passato e fortemente divisa su basi etniche, dove parte della popolazione nega quanto accaduto vent’anni fa, o fatica a distinguere le vittime dai colpevoli. A pochi chilometri dalla cittadina, nell’area dell’ex base Onu di Potocari dove si trova anche il memoriale inaugurato nel 2003 dal presidente Usa Bill Clinton, si tengono ogni anno l’11 luglio le commemorazioni del genocidio e le tumulazioni delle nuove vittime rinvenute nelle fosse comuni e identificate grazie al lavoro degli antropologi forensi.
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