mercoledì 17 agosto 2016
Il Rinascimento a teatro: Firenze che spettacolo
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È noto che Firenze, dai tempi del Grand Tour in poi, è stata invasa da stranieri innamorati di lei. Soprattutto gli studiosi. Al punto che l’hanno fatta sino a tempi recentissimi da padroni, insediandovi le loro biblioteche e le loro illustri sedi universitarie. Del resto, una delle più illustri fondazioni culturali cittadine porta il nome dell’editore Gianpietro Vieusseux, svizzero. E lo storico per antonomasia della Firenze medievale è un ebreo tedesco vissuto fra Otto e Novecento, Robert Davidsohn. Poi sono arrivati gli inglesi; e infine gli statunitensi. Sono stati loro a egemonizzare quella che in genere s’indica come la “fiorentinistica”: un po’ meno forse filologia e linguistica, solidamente presidiate dall’Accademia della Crusca; molto però la storia, la storia dell’arte, la storia dello spettacolo, la dantistica e così via. Del resto, studiosi illustri come l’inglese Nicolai Rubinstein o lo statunitense (d’origine ebraico-portoghesegreca) Anthony Molho hanno avuto anche allievi italiani.  Ormai da una generazione gli italiani, e anzi addirittura i fiorentini, sembrano essersi affrancati da questa egemonia “forestiera”, alla quale debbono peraltro molta gratitudine: e ne hanno fornito prove scientifiche di alta qualità. Chi volesse verificarne il tono anche a un livello di più ampia sintesi (“divulgativo”, ma nel senso migliore del termine) potrebbe accedere ad esempio al bel libro redatto da quattro di loro, Silvia Diacciati, Enrico Faini, Lorenzo Tanzini e Sergio Tognetti, che hanno pubblicato un bel libro dal suggestivo titolo pucciniano Come albero fiorito. Firenze tra medioevo e Rinascimento (Mandragora, pagine 261, euro 16,00).  Ma altre novità riguardano aspetti salienti di una ricerca sul serio originale e innovativa. Come il massiccio ma davvero affascinante Teatro civile e sacra rappresentazione a Firenze nel Rinascimento (Le Lettere, illustrato, pagine 535, euro 42,00) di Paola Ventrone, oggi docente di storia dello spettacolo presso la Cattolica di Milano ma dotata di un fiorentinissimo pedigree scientifico fiorentino in quanto alllieva di Ludovico (“Alvise”) Zorzi, di Siro Ferrone e di Sara Mamone.  Definire questo libro uno studio di storia dello spettacolo sarebbe profondamente riduttivo. Senza dubbio lo è: ma, precipuamente fedele in ciò all’eredità trasmessale da Ludovico Zorzi, Ventrone studia lo spettacolo come l’esito incrociato di una quantità di componenti al tempo stesso religiose, civili, artistiche e propriamente politiche. L’età oggetto delle ricerche dalle quali l’opera è scaturita – e si tratta di un lavoro ininterrotto durato più o meno un trentennio – va dal 1382 al 1530, vale a dire da quando le élite oligarchiche fiorentine assunsero saldamente il governo cittadino riducendo la vita politica a una serrata lotta tra grandi famiglie tra le quali emersero nel giro di pochi anni i Medici, fino a quando appunto il potere de facto mediceo si trasformò prima in signoria e quindi in ducato. Sotto questo aspetto le occasioni spettacolari – processioni, giostre, tornei, sacre rappresentazioni – vennero gradualmente disciplinate attraverso la dialettica dei sodalizi (le “compagnie”) che le gestivano e le ampie porzioni della società cittadina che vi prendevano parte: e il loro linguaggio liturgico e procedurale non meno dell’apparato scenico e tecnologico divennero da un altro sempre più complessi e dispendiosi, dall’altro sempre più pervasivi nei confronti della vita cittadina fino a tarsformarsi in veri e propri strumenti di organizzazione del consenso. Del resto, il carattere civico degli spettacoli cittadini e l’identità comunitaria che attraverso di essi si esprimeva si possono chiaramente cogliere nel fatto che il loro nucleo è caratterizzato dalle celebrazioni del santo patrono, Giovanni Battista. “San Giovanni ’un vòle inganni”, si dice ancora a Firenze: il patrono vegliava severo sulle alleanze politiche, pronto a punire le comunità soggette che si fossero mostrate infide; e vegliava sulla salute economica della repubblica, dal momento che la sua effigie campeggiava sul rovescio della prestigiosa moneta aurea fiorentina, il fiorino. Ma oltre la festa patronale, ogni 24 giugno, altre occasioni univano i governanti e i maggiorenti fiorentini ai loro governati e facevano sì ch’essi s’incontrassero e interagissero in contesti dotati d’intenso significato simbolico. Come accadde per la festa dei Magi, che si celebrava in occasione dell’Epifania, e che si manifestava attraverso un sontuoso corteggio finanziato dai membri delle grandi famiglie riunite in una “compagnia” a capo della quale troviamo signicativamente prima un membro della famiglia degli Strozzi, che avrebbe potuto diventare la dinastia regnante in Firenze, e quindi dei Medici, che lo diventò effettivamente. Un altro momento straordinario nella vita della città fu il Concilio ecumenico del 1439, durante il quale in Santa Maria Novella si proclamò solennemente l’unione della Chiesa latina con quella greca (ma la conquista ottomana di Costantinopoli infranse quel sogno); e un altro ancora il 1459, quando la città ormai saldamente ancorché discretamente governata da Cosimo de’ Medici (poi detto “il Vecchio”) ospitò papa Pio II. Gli affreschi della cavalcata dei Magi dipinti da Benozzo Gozzoli in palazzo Medici in seguito a quell’occasione sintetizzano bene il gioco della solennità e della vanità sotteso a quelle manifestazioni di fasto.   Senonché, il libro di Paola Ventrone ci fornisce anche immagini e informazioni che ancor più ci meravigliano. La bellezza e l’ingegnosità di certe macchine, ad esempio: immensi ingegni teatrali attraverso i quali s’inventavano mirabili trucchi di scena, addirittura voli d’angeli e messinscene paradisiache o diaboliche. Di molti di questi congegni ci sono rimasti disegni e addirittura modellini. Nella Firenze quattrocentesca si tenne a battesimo un tipo nuovo di sacra rappresentazione, che impegnava risorse teatrali e recitative ma che poneva anche questioni politico-religiose e morali sovente risolte con audacia: il grande arcivescovo sant’Antonino Pierozzi ne risulta coinvolto. Così come – e non ce l’aspetteremmo, nella Firenze quattrocentesca che c’immaginiamo tutta protesa alla reinvenzione della bellezza classica (e fu così, specie grazie a Lorenzo il Magnifico) – capita spesso d’imbattersi in scene cavalleresche da “autunno del medioevo” di sapore gotico, vestizioni solenni di cavalieri e giochi di giostra e di torneo: un 'medioevo' che molti non sospetterebbero mai nella Firenze degli umanisti.
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