mercoledì 9 settembre 2015
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"Terra. Uno sguardo al mondo globale". È il tema della X edizione del festival "Con-vivere" che si tiene a Carrara dall’11 al 13 settembre. Una riflessione sul futuro del Pianeta con oltre 70 appuntamenti fra conferenze, musica, film e altro ancora. Molti gli "incontri di parola" su terra, pianeta e mondo. In pagina una sintesi dell’intervento "Volare oltre il cielo" che l’astronauta Umberto Guidoni tiene venerdì alle 21,30.Dopo anni di training, arriva finalmente il momento del lancio. Ricordo di essere entrato nella navetta posta in verticale e di essermi seduto sulla schiena, con indosso la pesante tuta pressurizzata; dall’auricolare arrivava lo scandire degli ultimi secondi. Con un ruggito si erano accesi i motori principali, la cabina era scossa da profonde vibrazioni e l’Endeavour stava salendo possentemente al di sopra della rampa di lancio. Era stata una salita da capogiro, che mi aveva portato a centinaia di chilometri di altezza in soli otto minuti. In quel breve lasso di tempo, i milioni di litri di ossigeno e idrogeno liquido del grande serbatoio arancione si erano esauriti e i motori principali erano diventati improvvisamente silenziosi. La navetta era ormai in orbita, a circa 400 chilometri al di sopra della superficie terrestre.  Quando si raggiunge lo spazio si è sopraffatti da emozioni diverse, senza il vincolo del peso, si ha una sensazione di libertà mai provata prima. Alto e basso non hanno più significato, camminare e stare seduti semplicemente non si applicano a questa nuova realtà, dove il corpo è libero di volare.  Tutto il pianeta si percorre in gran fretta mentre si compie un’orbita in appena 90 minuti, alla fantastica velocità di 28.000 km l’ora. La Terra, vista da lassù, è un’immagine che quasi toglie il respiro. I colori cambiano di continuo: il giallo ocra dei deserti, il bianco delle cime innevate, il verde profondo delle foreste e, su tutto dominano le diverse tonalità di blu degli oceani. Quando si torna, quel gioiello turchese incastonato nel nero dello spazio rimane impresso nel cuore. Per questo gli astronauti l’hanno ribattezzato il “pianeta azzurro”. Già dalle prime ore in orbita era cominciato l’inseguimento della Stazione Spaziale Internazionale (in breve Ssi) che ormai splendeva come la stella più brillante del cielo. L’Endeavour si andava avvicinando sempre più alla stazione, e, orbita dopo orbita, si potevano notare sempre maggiori dettagli. Era uno spettacolo davvero magnifico che mi teneva incollato al finestrino: potevo distinguere i grandi pannelli solari che brillavano di una luminosità arancione sullo sfondo buio dello spazio, colpiti dalla luce solare che si rifletteva sul rivestimento delle celle fotovoltaiche. Un’altra orbita intorno alla Terra e la Stazione andava assumendo dimensioni sempre maggiori, si vedevano i moduli che ne componevano la parte abitabile. Non era la linea filante dello Space Shuttle ma, nel vuoto dello spazio, non servono forme aerodinamiche per viaggiare alla fantastica velocità di 28.000 chilometri all’ora. Dopo l’attracco siamo saliti a bordo, anzi sarebbe meglio dire “siamo volati” sulla Stazione e mi è sembrato di aver compiuto un viaggio nel tempo: dalla tecnologia degli anni settanta ero passato di colpo a quella più sofisticata del nuovo millennio, un ambiente dove sviluppare ricerche avanzate e affrontare le nuove sfide del XXI secolo. Era il 2001, quando la Ssi era ancora un cantiere aperto e il nostro equipaggio aveva il compito di aggiungere due elementi importanti alla Stazione. Il primo, denominato Canadarm, era una gru spaziale che il Canada aveva costruito per l’avamposto internazionale. Un sofisticato braccio robotizzato che sarebbe stato manovrato dall’equipaggio della Stazione per le future esigenze di costruzione della base orbitante. L’altro elemento, chiamato Raffaello, era un modulo di rifornimento made in Italy ed era in grado di fare la spola fra la Terra e lo spazio per rifornire gli astronauti degli elementi necessari alla loro vita quotidiana (cibo, vestiario, aria, acqua) ma anche per portare a bordo parti di ricambio per il funzionamento della Stazione, nonché esperimenti scientifici che potevano essere operati nei suoi laboratori.  Nel 2011, dieci anni dopo il mio volo, si è chiusa, l’era gloriosa degli Space Shuttle. A differenza delle capsule “usa e getta”, con pochissimo volume abitabile e con accelerazioni da top gun, le navette hanno permesso permanenze più lunghe e comodi spazi di lavoro in orbita e, grazie a queste caratteristiche, viaggiare nello spazio è diventato possibile anche per astronauti non militari e, in particolare, per le donne. Centinaia di astronauti, provenienti dal mondo della ricerca, hanno potuto effettuare esperimenti scientifici sempre più complessi nello spazio. Senza gli Space Shuttle non sarebbe stato possibile realizzare la Stazione Spaziale Internazionale che è diventato il primo vero insediamento umano in orbita. Oggi si parla di veicoli spaziali commerciali e della possibilità di viaggi turistici nello spazio. Sarebbe una piccola rivoluzione culturale che potrebbe cambiare il rapporto con il nostro pianeta. Finora, tutti quelli che hanno viaggiato nello spazio hanno parlato della Terra come di «una fragile oasi azzurra immersa in un grande oceano di tenebre». Presto questa consapevolezza potrebbe diventare patrimonio comune di tutta l’umanità.
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