giovedì 21 gennaio 2016
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Malik non sapeva di poter entrare in una chiesa, non c’era mai stato. Di fede musulmana, studente al Liceo Léon Blum di Créteil, cittadina nella banlieue Sud-est di Parigi, pensava gli fosse vietato. Ma la sua insegnante, Anne Guegen, portando lì i suoi ragazzi, nati in famiglie immigrate e fuggite da guerre e povertà, ma francesi, cerca di insegnare proprio questo: il dialogo, l’integrazione, la tolleranza. È sicura di come, nella scuola, si stia costruendo con fatica il loro futuro, che è anche il nostro. I fatti narrati da Una volta nella vita (Les Héritiers), diretto da Marie-Castille Mention-Schaar, in sala dal 27 gennaio, sono tutti veri. Una professoressa, Anne Anglès, nel 2009 propone alla sua classe di prendere coscienza delle loro responsabilità civili condividendo un’esperienza unica: la partecipazione al Concorso Nazionale della resistenza e della deportazione, che dal 1961 offre a tutti gli studenti francesi delle scuole medie inferiori e superiori l’occasione per riflettere sulla Shoah studiandone le cause e la realtà, per poter divenire custodi dei diritti umani e dei principi democratici calpestati da quell’orrore.  Uno di quei ragazzi, l’allora sedicenne Ahmed Dramé, che nel film interpreta Malik, ha deciso di scrivere una sceneggiatura raccontando la sua esperienza di studente e di come la sua classe sia risultata vincitrice dell’edizione di quell’anno. Il racconto ha affascinato la regista, che ha poi chiamato Ariane Ascaride a interpretare il ruolo dell’insegnante. E che si è ritrovata terrorizzata il primo giorno delle riprese. «Sono arrivata sul set con l’immagine classica della professoressa – confessa l’attrice francese –, ma la mia impostazione era tutta sbagliata. Ho dovuto rigirare tutto il giorno dopo. E ho capito che prima di tutto ero io che stavo imparando qualcosa». Che cosa esattamente? «Ad ascoltare. A rispettare il punto di vista di questi giovani, a capire come ci guardano e ci giudicano». Quali aspetti l’hanno maggiormente affascinata di questo personaggio? «Come sia riuscita a cambiare le vite di questi ragazzi e ragazze, che oggi hanno un rapporto diverso con la società che li ha accolti. Mi sembrava importante fare questo film e prendere atto che la memoria è fondamentale per poter intervenire sul futuro». Memoria ma anche di integrazione: due necessità non eludibili per il futuro dell’Europa. «Mi sono trovata dinanzi giovani che non sapevano nulla della Seconda guerra mondiale e di quello che era successo al popolo ebraico. Pensavano che la storia della Francia e dell’Europa non li riguardasse, avevano il sentimento di essere fuori dalla società francese, mentre sono francesi a pieno titolo perché sono nati qui. Partecipando al Concorso hanno scoperto che anche loro sono il futuro di questo Paese e che hanno bisogno di conoscere il nostro passato per essere più integrati e rispettati». Nel film viene descritta l’importanza della scuola per la formazione dei giovani. «Dobbiamo riconquistare l’ammirazione per gli insegnanti, per il loro lavoro e la loro fatica. Lavorano in situazioni difficilissime, cercano di insegnare la cultura con la quale diventare cittadini responsabili. In Francia dobbiamo insegnare i valori della nostra Repubblica e i principi della laicità, rispettando il credo religioso e le tradizioni di tutti».  Il Papa, visitando la Sinagoga di Roma, ha ricordato come la Shoah «ci insegna che occorre la massima vigilanza per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace». I ragazzi di oggi sono coscienti di questo pericolo? «Credo che lo siano molto più di noi, anche se non ce ne accorgiamo. Ma nessuno li ascolta, pochi riescono a rispettare il loro modo di esprimersi. A differenza di noi quando eravamo giovani, sanno che la vita è difficile, dura, sanno cosa significhi essere fermati dalla polizia, guardati con sospetto soltanto per il colore della pelle o perché sono arabi. Se noi non prestiamo attenzione alle richieste, alle paure, ai dubbi di questi giovani, c’è il pericolo che si rivolgano altrove, che diano ascolto al fanatismo e al terrorismo, chiudendosi nel loro pensiero. Non dobbiamo avere paura. E chiediamoci anche che cosa non abbiamo fatto per capirli e aiutarli».
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