venerdì 15 maggio 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Al Lingotto, un anno dopo. Lo stand della Libreria Editrice Vaticana occupa sempre uno spazio  considerevole, anche se non è più imponente come nel 2014, quando il Paese ospite del Salone internazionale del Libro era la Santa Sede.  «Ma l’interesse per papa Francesco è sempre forte e l’imminente enciclica sull’ecologia non farà che rinnovarlo», assicura il direttore della Lev, don Giuseppe Costa. Subito dopo, però, lancia la provocazione: «Peccato che il mondo cattolico investa ancora troppo poco sulla promozione del libro. Si potrebbe fare tantissimo, invece. Nelle parrocchie, nelle scuole…». Pochi metri più in là, nello stand dell’associazione Sant’Anselmo, il responsabile Andrea Gianni rilancia: «I cattolici ancora non si rendono conto di essere, in potenza, il più grande network culturale del Paese. Ed elaborare progetti comuni resta sempre faticoso».  L’aria che si respira all’incontro promosso dall’Unione degli editori e librai cattolici italiani non è tanto diversa. Giovanni Peresson presenta i risultati del quinto «Osservatorio sull’editoria cattolica» (di cui riferisce Giorgio Raccis nell’articolo qui a fianco) e poi via con il dibattito. Padre Pier Luigi Cabri, direttore editoriale delle Dehoniane di Bologna, esalta il ruolo che il libro continua a rivestire: «Anche in questo mondo plurale – avverte – rimane lo strumento ideale per mettersi in relazione con l’interiorità di ciascuno». Il cybergesuita Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, concorda in linea di principio, ma non per questo evita di partire all’attacco: «È il libro in sé ad avere una connotazione simbolica potente – sostiene –, ormai l’insistenza sul cosiddetto libro religioso non ha più senso. C’è bisogno di testi che sappiano suscitare domande, anziché fornire risposte già pronte. Da questo punto di vista, mi preoccupa molto che l’editoria cattolica si sia sostanzialmente arresa al linguaggio della saggistica. Il nostro tempo ha bisogno di esperienza, di testimonianza. Ha bisogno di più poesia, di più narrativa».  Don Giacomo Perego, direttore di San Paolo, raccoglie subito la sfida: «Il disinteresse per la letteratura non è assoluto – ribatte –. La nostra casa editrice, per esempio, continua a proporre narrativa con risultati significativi, come dimostra il premio Andersen appena assegnato a Davide Rondoni per il romanzo Se tu fossi qui. Certo, ci vuole creatività, anche nella promozione dei libri. Da tempo, per scelta, abbiamo sostituito le tradizionali presentazioni con momenti formativi più articolati, che portano gli autori sul territorio». Un metodo sperimentato anche dalle Paoline, come ricorda la direttrice editoriale suor Paola Fosson: «Ma dare continuità è difficile – ammette –. Quello che non deve mai venire meno è il ruolo della libreria come luogo di incontro, nel quale ci si scambiano pareri e consigli». Si tratta di una realtà che sta molto a cuore al vicepresidente Uelci Enzo Pagani, che segue in particolare il settore della distribuzione: «Se, come afferma padre Spadaro, il nostro compito è di dare una cornice degna ai contenuti che già esistono, allora la libreria è una cornice più che adeguata, e ancora molto attuale».  «I dati di cui disponiamo confermano che la lettura, anche e specialmente per i non credenti, è anzitutto un percorso alla ricerca di senso – osserva il presidente Uelci Gianni Cappelletto –. Il nostro dovere, a questo punto, è di offrire servizi meglio articolati, che vanno dalle innovazioni per rendere più accessibile il libro all’elaborazione di strumenti gestionali sempre più efficaci». Il cammino verso una professionalità davvero competitiva è tuttavia ancora lungo. E per diversi motivi. Lorenzo Fazzini della Emi lamenta il perdurare di pregiudizi, sia della cultura laica verso i cattolici sia dei cattolici stessi verso i linguaggi della modernità.  Alberto Vela del Messaggero di Padova, da parte sua, constata la lentezza nella costituzione di piattaforme condivise. Per Guido Dotti di Qiqajon, la casa editrice della Comunità di Bose, è impossibile scindere il discorso sul libro dall’orizzonte ecclesiale: «Per promuovere veramente la lettura – puntualizza – dobbiamo prima interrogarci sull’idea di Chiesa che abbiamo in mente».  C’è chi non demorde nonostante tutto, come la torinese Effatà («Anche noi ci siamo aperti alla narrativa – sottolinea la direttrice Gabriella Segarelli  – ma l’accoglienza è ancora tiepida») e chi punta sui grandi eventi, come Elledici, che ha trasformato il suo stand in una vera e propria «piazza don Bosco» in occasione del bicentenario del santo, come spiega il responsabile commerciale  Marco Ribis. La vera sorpresa, in ogni caso, viene dalla più longeva tra le case editrici presenti al Salone, la valdese Claudiana, che in questi mesi festeggia 160 anni di attività ininterrotta. «La crisi ha colpito anche noi – dice il direttore Manuel Kromer–, specie per quanto riguarda le rese da parte dei librai. Per fortuna possiamo contare su una rete di distribuzione alternativa, che coinvolge di fatto tutte le nostre comunità. Tra i protestanti, inoltre, l’abitudine alla lettura non è una novità. Pensi che nel 1861, al momento dell’unità d’Italia, l’indice di analfabetismo era dell’84% a livello nazionale, e solo dell’8% nelle valli riformate». La storia non si può riscrivere, d’accordo. Dalla storia, però, si può sempre imparare.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: