mercoledì 6 maggio 2015
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Univano le parti rotte con raffinate tecniche, attenti a non alterare i segni autografi dei maestri. Non stiamo parlando dell’Istituto Centrale del restauro di Roma o dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, ma degli antichi Etruschi. «Non sappiamo quando cominciò, ma con ogni probabilità la pratica del restauro affonda le proprie origini nella storia antica» sostiene Alessandro Pergoli Campanelli, docente di Restauro architettonico all’Università Carlo Bo di Urbino e recente autore del volume La nascita del restauro. Dall’antichità all’Alto Medioevo (Jaca Book, pagine 380, euro 22). Uno studio che decisamente scardina la 'vulgata' secondo la quale il restauro sarebbe privilegio dell’era moderna: Le mot et la chose sont modernes, diceva Emmanuel Viollet- Le-Duc nel 1865. «Certe affermazioni sono giustificabili in un periodo prossimo alla cosiddetta Restaurazione, in chi era incaricato di ripristinare i monumenti devastati dalla furia della Rivoluzione francese. In Italia, però, già nell’antichità classica si trovano numerose testimonianze di azioni di tutela. E ci si può spingere ancor più lontano: numerose evidenze archeologiche mostrano come già in epoca preistorica si svilupparono tecniche per riparare le ceramiche. Non c’era il consumismo ed era necessario conservare a lungo quel che si aveva. Ma si può cominciare a parlare di vere e proprie attività di restauro solo là dove si riscontrano attenzioni a particolari valori (simbolici, religiosi o artistici) che non si vogliono perdere. Lo si nota in alcune ceramiche rinvenute nei territori dell’antica Etruria, restaurate con tecniche complesse, nell’intento di non alterare l’opera di maestri come il celebre Euphronios. Solo, col cristianesimo, però, la cultura del restauro inizia la fase moderna». C’è dunque un legame tra religione e restauro? «La spiccata sensibilità per la conservazione della materia autentica (in quanto depositaria di valori immateriali), propria del restauro occidentale e italiano in particolare, deriva dall’innestarsi della cultura cristiana sulle strutture dell’impero romano. Tre elementi furono fondamentali: un sistema giuridico capace di tutelare i beni artistici, una visione lineare del tempo che riconoscesse il mondo antico come ormai distante e un’interpretazione della materia autentica come latrice di valori spirituali. Col cristianesimo si afferma, sia una concezione del tempo lineare (dalla creazione si va verso il giudizio universale) sia il principio che anche la materia incarna valori spirituali, in analogia a quanto si stabilì fosse accaduto nel corpo del Salvatore. Per questo si diffuse la tendenza a conservare le reliquie dei santi: un’attenzione per la conservazione dell’autenticità materiale che non è propria di un’impostazione archetipica e intuitiva del restauro, volta al ripristino delle sole forme esteriori anche a costo di sacrificare gran parte della materia originaria. In Italia riscontriamo sin dall’antichità molti esempi di tutela dei monumenti, spesso intesi come testimonianze di un passato che si vuole perpetuare, con grande attenzione per il territorio e le sue realtà». E neppure le invasioni barbariche le hanno scalfite... «Le moderne concezioni storiografiche hanno rivisto l’idea che l’arrivo dei cosiddetti barbari abbia avviato la decadenza del mondo antico. La creazione stessa dei primi regni barbarici entro l’impero romano non derivò da vere e proprie invasioni, ma quasi sempre dalla stipula di precisi patti, seppur in un clima politico confuso, segnato da continui mutamenti in cui soldati e generali barbari militavano sempre più numerosi in quel che restava dell’esercito romano, difendendo i confini dell’impero contro altri barbari loro rivali. Alarico e Teodorico furono re goti e generali romani, e come tali parteciparono agli intricati giochi politici per il dominio dell’impero. I Goti guardarono con ammirazione il mondo romano, e durante il loro regno diedero l’impressione di voler trasformare a più riprese la storia del loro popolo in quella di Roma: un po’ come i romani nobilitarono le loro origini associandole a Troia. Purtroppo una storiografia di parte ha esaltato la figura del generale bizantino Belisario, seppur colpevole di funeste devastazioni, quale protettore dei monumenti antichi, rispetto ai re goti che, in molte occasioni, avevano realmente restaurato i monumenti di Roma. Il che è dovuto a Procopio che con maestria riporta la supplica a Totila in difesa dei monumenti di Roma, suggerendo l’immagine d’un re barbaro convinto quasi controvoglia a non distruggere la città». Una figura centrale nella sua ricerca è Cassiodoro, fondamentale anche per la storia del movimento monastico... «Se immaginiamo un’ipotetica traiettoria dell’idea moderna di restauro sin dalle sue origini, Cassiodoro rappresenta forse il punto più alto raggiunto prima dell’epoca moderna. Come sant’Ambrogio prima e Gregorio Magno poi, rappresentò, per nascita e cultura, un trait d’union fra le strutture del mondo romano e la forza vivificatrice dei popoli barbarici: fra la cultura dell’aristocrazia pagana e il sentimento religioso cristiano. Cassiodoro fu uno dei primi a utilizzare il neologismo latino modernus. E non a caso la sua opera si svolse, prima alla corte dei re goti in continuità col diritto romano, poi nel cenobio fondato nei pressi dell’attuale Squillace, secondo i dettami della religione cristiana. I suoi scritti, sia della prima sia della seconda fase della sua vita, evidenziano una consapevole dimensione teorica e pratica del restauro. I principali traguardi raggiunti dal mondo antico rischiavano di sparire per sempre. Fu solo grazie alle convinzioni di pochi, come Cassiodoro, che non avvenne e le maggiori eredità del mondo antico furono trasmesse al futuro. La classicità ricomparve mille anni più tardi grazie all’opera degli eruditi della Rinascenza solo perché la conservazione della cultura antica era iniziata già negli anni della caduta di Roma. Le difficoltà furono molte, come le indebite distruzioni. Gli avvenimenti di questi giorni, con antichi reperti distrutti per pretesi motivi religiosi ci ricordano il rischio di continue regressioni».
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