domenica 16 ottobre 2016
A colloquio con il filosofo che oggi inaugura il festival di Udine: "Il tema più urgente oggi? La presenza del male".
Festival Mimesis, il filosofo Rella: "Da metropoli a Cosmopoli"
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I due libri si assomigliano, e non soltanto perché l’autore è lo stesso e molti temi, di conseguenza, si intrecciano e rincorrono. Ad accomunare gli ultimi due titoli del filosofo Franco Rella ( Immagini del tempo. Da metropoli a cosmopoli, Bompiani, pagine 324, euro 13,00; Pathos. Itinerari del pensiero, Mimesis, pagine 162, euro 15,00) c’è anche un elemento formale: dopo una successione regolare di capitoli, il testo si frantuma in una serie di appunti, o “asterischi”, che tornano a riaprire il discorso. «È il mio modo di scrivere – spiega Rella, che ha a lungo insegnato Estetica allo Iuav di Venezia e che domani inaugurerà a Udine il Festival Mimesis –. Ogni volta che lavoro su un contesto particolarmente significativo della nostra situazione culturale, mi accorgo che a lato del percorso restano queste schegge di pensiero, queste annotazioni che non si inseriscono in un percorso compiuto. Fino a un certo momento li ho raccolti in volume, come se si trattasse di un genere a sé stante. Da un po’ di tempo in qua, invece, preferisco presentarli così come sono in fondo ai miei libri. Mi sembra una maniera efficace per rendere conto della tensione tra struttura e frammento su cui poggia l’interrogazione filosofica». È anche una soluzione letteraria? «Sì, in un certo senso. E poi, vede, alcuni dei momenti più alti del pensiero contemporaneo, del XX come del XXI secolo, si sono espressi proprio in opere letterarie. Il tempo ritrovato di Marcel Proust, per esempio, è la più grande opera di estetica filosofica del Novecento. Analogamente, è difficile trovare una penetrazione dell’enigma del mondo più acuta di quella formulata da Franz Kafka nel Castello e nel Processo. Come già avevano intuito Walter Benjamin e Theodor Adorno, il terreno più fecondo è proprio questo in cui il pensiero filosofico si incontra e scontra con quello che emerge dall’arte: un luogo di confine, una soglia». Come quella della metropoli-cosmopoli? «Qui, insieme con lo spazio, è il tempo a entrare in gioco. La città è destinata a configurarsi sempre di più come stratificazioni di tempi differenti. Lo era già nell’Ottocento, quando il tempo della campagna entrò in conflitto con quello dell’urbanizzazione, dando luogo alla “contemporaneità del non contemporaneo” studiata da Ernst Bloch. Succede a maggior ragione oggi, che si fonda su un intreccio fittissimo di memorie e dimenticanze differenti». Che cosa intende? «Nelle nostre città non c’è più soltanto la storia dell’Occidente, ma anche quella, sempre più riconoscibile, di chi arriva da altri Paesi e da altre culture, portando con sé pezzi della propria storia. In passato questi elementi finivano amalgamati nel contesto, adesso pretendono di essere riconosciuti, a loro volta, come tempo presente. Una molteplicità di tempi sconvolgente, descritta con grande efficacia da uno dei massimi romanzieri dei nostri anni, lo statunitense Don DeLillo». L’Occidente è sempre meno centrale, dunque? «Già nel 2000 uno storico indiano, Dipesh Chakrabarty, segnalava l’urgenza di “provincializzare l’Europa”, vale a dire di spezzare la delirante forma di dominio culturale che ci trasciniamo dall’Ottocento. In questa fase la periferia del mondo attraversa l’Europa e, così facendo, rende periferica l’Europa stessa, in un rovesciamento di ruoli che contraddice l’ottimismo degli anni Novanta. Anziché esportare ovunque il proprio modello, l’Occidente si trova risospinto ai margini. Non è né può essere un processo indolore, ma appunto per questo chiede di essere governato. Come sta facendo papa Francesco, che con le nomine dei nuovi cardinali cambia in modo consistente gli equilibri geopolitici all’interno della Chiesa». Il corpo è un altro tema ricorrente nella sua ricerca. Perché? «Perché il corpo è stato, per secoli, il grande escluso del pensiero occidentale. Affiora in Platone, ma poi viene messo tra parentesi, cancellato, fino a quando riemerge con Nietzsche e Freud, che da posizioni differenti ne sostengono le ragioni. Il paradosso in cui attualmente ci troviamo consiste nel fatto che il corpo viene sì esibito in modalità sempre più spregiudicate, ma questa apparente celebrazione della nudità non è, in sostanza, se non una cancellazione della nudità stessa. Ancora una volta viene in soccorso un narratore, Goffredo Parise, che nell’Odore del sangue ragiona sul corpo come punto di resistenza estremo, come luogo della sofferenza e del pathos. Pensare il corpo ha oggi un valore politico, di contestazione dello status quo». Siamo arrivati al mistero del male. «Tema teologico non meno che filosofico. Lo sapeva bene Georges Bataille, con la sua indagine su quello che potremmo definire il lato sinistro della creazione. È una dimensione che ci obbliga a confrontarci con qualcosa che sfugge alla concettualizzazione e all’esperienza stessa delle forme. Il XX secolo, in particolare, ha conosciuto un male immane, rispetto al quale la rielaborazione filosofica e culturale si è spinta solo fino a un certo punto. Dopo di che, in modo sempre più accentuato, ha preso ad affermarsi un pensiero del neutro che oggi coincide con il cosiddetto “nuovo realismo”, incapace di riconoscere qualsiasi realtà al di fuori di quella che sia proposto di indagare. Ci sono le eccezioni, certo, come quelle testimoniate da Anselm Kiefer nell’arte o dallo stesso DeLillo in letteratura. Del male, però, non ci si occupa mai abbastanza».
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