mercoledì 17 febbraio 2016
Pettazzoni e Zolli. Questioni di razza
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Da una parte Israel Zoller (poi Italo Zolli, quindi Eugenio Zolli), nato nel 1881 a Brody, cittadino austroungarico, poi italiano, apolide e – conclusa la seconda guerra mondiale – ancora italiano; erudito rabbino di Trieste e poi di Roma approdato nel 1945 al cattolicesimo senza rinnegare il suo credo, essendo ebraismo e cristianesimo ai suoi occhi «sì profondamente diversi, ma non diametralmente opposti».  Dall’altra parte Raffaele Pettazzoni, bolognese di Persiceto, classe 1883, padre della storia delle religioni («quelle inferiori e superiori, le morte e le viventi, le primitive e le attuali...»), disciplina da lui introdotta nel mondo accademico italiano applicando il cosiddetto metodo storico comparativo; nonché fondatore nel 1925 della rivista scientifica Smsr. Studi e materiali di storia delle religioni, dopo esser salito in cattedra all’Università di Roma un paio d’anni prima. Insomma due protagonisti un po’ dimenticati e, disseminate tra 1925 e 1941, una sessantina di lettere inviate dal primo al secondo (più poche altre nel decennio successivo), oltre a tre di Pettazzoni a Zolli. Missive che affrontano temi complessi: l’origine dell’alfabeto protosinaitico, l’istituto della confessione dei peccati in Israele, lo sviluppo storico di Kippur e il suo nesso con Pesach, la funzione del capro in rituali sacerdotali particolari, la questione litolatria, le pitture catacombali, il banchetto pasquale ebraico e cristiano, le origini dell’eucaristia, l’onniscienza divina... Missive a senso unico che rievocano vicende e traversie accademiche, narrano successi e delusioni, alludono a dettagli solo apparentemente marginali, registrano punti di convergenza e riserve, affrontano nodi metodologici e di contenuto. Insomma una corrispondenza che aiuta a capire il contesto generale in cui si afferma la storia delle religioni, si compie la parabola del modernismo, si affacciano la psicologia e la psicoanalisi. E in realtà è pure quanto basta a ricostruire i contatti degli ambienti rabbinici italiani con la cattedra di Storia delle religioni istituita sotto il ministero di Giovanni Gentile e ad aprire ampi squarci sul lavoro di Zolli e di Pettazzoni, sulla loro collaborazione scientifica. Non senza attriti. «La tesi di Zolli di un passaggio dall’ebraismo al cristianesimo per evoluzione – di uno sviluppo storico dall’istituto del Kippur, alla figura espiatrice di Cristo – incontrò delle riserve, espresse da Pettazzoni anche in merito alle origini ebraiche dell’eucarestia», scrive ad esempio Valerio Salvatore Severino introducendo la monografia di Alberto Latorre Il carteggio Zolli–Pettazzoni (Morcelliana, pp. 394, euro 35) . Severino si premura di ricordare che la presenza di ricerche zolliane sulla rivista Religio, allora diretta da Ernesto Buonaiuti (il sacerdote modernista che morirà «scomunicato vitando») in contrasto con gli ambienti gentiliani storicisti, indica la presa di distanza di Pettazzoni davanti al convergere di due modernismi, quello ebraico e quello cristiano, di lì a poco colpiti nei loro esponenti. Una scelta scaturita da una Weltanschauung laica, mossa oltre che da una sorta di ragion di Stato (a difesa da interferenze di interessi religiosi considerati esterni), anche da un senso religioso molto patriottico e italiano. Non è tutto. Perché il carteggio, rendendo conto degli orientamenti diversi dell’identità laica italiana precedenti a divergenze destinate ad ampliarsi, si arresta di fatto nel 1938: quando la disputa nazionale sul rapporto tra scienza e religione assume la drammatica piega razzista. Se le avvisaglie della sciagura per gli ebrei italiani in realtà erano già iniziate da tempo, proprio le missive zolliane dei primi mesi del ’38 qualcosa ci dicono. Testimoniano indirettamente l’appoggio non rifiutato da Pettazzoni a Zolli circa l’inserimento nei quadri universitari nazionali. Avvalorano altra documentazione disponibile che rende inverosimile un’interpretazione antisemita del pensiero di Pettazzoni, al di là dei suoi interventi scarsamente risolutivi a favore di Zolli o dell’assistente alla cattedra di Storia delle Religioni, Paola Franchetti (si veda invece qui sotto l’esito positivo raggiunto da padre Ricciotti a favore di Alberto Pincherle). Nei fatti la promulgazione delle leggi razziali fece saltare tutto ed ebbe effetti ancor più penosi nei confronti degli ebrei stranieri.  Complesso appare il vaglio della documentazione con valore probatorio nella controversia – non chiusa – dell’adesione di Pettazzoni al «Manifesto degli scienziati razzisti», pubblicizzato il 15 luglio 1938, inizialmente pubblicato anonimo e attribuito a un imprecisato gruppo di fascisti docenti delle università italiane ma al quale il 26 luglio una circolare del Partito Nazionale Fascista fece seguire l’elenco dei primi dieci studiosi che vi avevano aderito. Il principale estensore incaricato – si è poi saputo – fu Guido Landra, assistente di Sergio Sergi alla cattedra di Antropologia all’università di Roma, successivamente direttore dell’Ufficio Studi e Propaganda sulla Razza interno al Ministero della Cultura Popolare. Dopo che il «Manifesto» fu ripubblicato dalla rivista La difesa della razza nell’agosto 1938 scattò un censimento promosso dal Ministero dell’Educazione Nazionale per rilevare la presenza ariana nelle istituzioni scientifiche, letterarie e artistiche, in vista dei provvedimenti regolati dai Regi Decreti. L’indagine di accertamento, condotta per autodichiarazione tramite questionari e schede informative compilate e riconsegnate alle sedi ministeriali – tra le schede dell’Accademia d’Italia anche quella di Pettazzoni – diede luogo a una collaborazione di massa: forse il coinvolgimento più esteso degli intellettuali italiani nella questione della razza.
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