giovedì 16 aprile 2015
Con l’Expo del 1876 gli americani scoprirono popoli e culture sconosciuti: stimolò il progresso. Gli espositori italiani furono oltre 400 Nel 1893 ci riprovò Chicago raggiungendo i ventisette milioni di visitatori.
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A venticinque anni dall’evento del Crystal Palace anche l’America prese coscienza della necessità di presentarsi al mondo con un evento “universale”. La guerra civile era finita e l’occasione di celebrare il primo secolo dalla Dichiarazione di indipendenza non doveva essere lasciata sfuggire, anche se il mito della frontier non si era ancora completamente consolidato. Il 1876 sarà l’anno di Tom Sawyer, uno dei più fortunati romanzi di Mark Twain, ma anche l’anno della disfatta del generale Custer a Little Big Horn. Da tre anni l’economia è in recessione e gli americani hanno coniato questo triennio con il nome di Panic of 1873. Ma l’Esposizione si farà. Da un’idea originale lanciata già nel 1866 dal professore universitario dell’Indiana, J.L. Campbell, è stata decisa dal Congresso nel marzo del 1871 ed è stata resa pubblica con un invito ufficiale del Segretario di Stato a tutte le rappresentanze diplomatiche straniere nel luglio di due anni dopo. Ufficialmente conosciuta come “International Exhibition of Arts, Manufactures and Products of the Soil and Mine” l’esposizione avrà luogo a Philadelphia e si terrà sui 285 acri del Fairmount Park che si affaccia sul fiume Schuylkill. L’intero progetto dell’area espositiva è stato affidato al poco più che ventenne Hermann J. Schwarzmann, un immigrato dalla Germania che dovrà organizzare gli oltre 250 padiglioni dove sono ospitate 37 nazioni.  L’Esposizione di Philadelphia fu immensamente popolare con i suoi nove milioni di visitatori, soprattutto se si pensa che allora la popolazione degli Stati Uniti a mala pena raggiungeva i 46 milioni. Forse uno dei più immediati effetti di questo evento fu l’aver messo a contatto una popolazione di coloni con la varietà dei popoli della terra sino ad allora immaginati semplicemente come esotici. Annotava un visitatore che «questa gente di campagna ha visto per la prima volta giapponesi, turchi, greci o mori, ma non ha dimostrato la minima espressione di repulsione istintiva o alcun pregiudizio di razza. Al contrario, è facile rilevare un piacevole sorpresa […] che le estremità della terra non sono dopo tutto così distanti».  Anche le costruzioni dei vari padiglioni si presentavano nelle più svariate forme esteriori. Il padiglione del Giappone contrastava fortemente con le strutture vittoriane che lo circondavano mentre la sezione dell’Egitto si presentava con un antico tempio egizio con iscrizioni a geroglifici. La tecnologia certamente occupava un grande spazio, soprattutto nella Machinery Hall dove faceva bella mostra di sé il Corliss Centennial Steam Engine, una gigantesca macchina a vapore da 1000 kw con il suo volano da 50 tonnellate che poneva in rotazione a 36 giri al minuto un albero di trasmissione lungo 1500 metri, che metteva in moto tutte le macchine della Hall. C’erano pompe in grado di alimentare gigantesche fontane, una macchina frigorifera ad ammoniaca per la produzione del ghiaccio, gli ascensori della Otis Brothers & Co., i generatori elettrici a corrente continua Wallace-Farmer, il telegrafo di Thomas Alva Edison, il telefono di Alexander G. Bell, la macchina da scrivere di Eliphalet Remington e non da ultimo il ketchup di Henry John Heinz.  Ma non bisogna dimenticare che l’Esposizione era dedicata anche ai prodotti della terra e numerose furono le mostre ortofrutticole e floreali, come quelle dedicate all’allevamento di bestiame e alla pollicoltura. Stupirono i visitatori il caffè della Liberia, i tessuti di cotone del-l’Egitto, i manufatti di avorio dalla Cina, le armi e i prodotti chimici della Germania. La Francia presentò il primo pezzo della Statua della Libertà dello scultore Bartholdi, la mano che sorregge la fiaccola. Anche se l’Italia fu un partecipante “non ufficiale”, gli espositori provenienti dal nostro Paese furono 448. Tre giorni prima della chiusura ufficiale, il 7 novembre si celebrò il Women’s Day e con l’ultimo dell’anno si incominciarono i lavori di smantellamento e oggi sui Centennial grounds rimangono solamente la Memorial Hall, la Ohio House, e due piccoli edifici in mattoni annessi all’Horticultural Center. Come sempre molti dei padiglioni, una volta smontati, vennero riutilizzati altrove. Ma l’America andava avanti e presto altre città avrebbero voluto raggiungere nuovi primati. Chicago aveva toccato il milione di abitanti e diventava così la seconda città d’America dopo New York, surclassando Philadelphia. Una nuova sfida si preannunciava, ma questa volta nei confronti del mondo intero, perché bisognava battere la Parigi della Tour Eiffel. L’occasione delle Colombiadi, a quattrocento anni dalla scoperta dell’America, non poteva essere perduta. L’idea di costruire una intera città, la White City, dove ospitare l’Exhibition, mise in moto squadre di architetti con i loro progetti: Frederick Law Olmsted, il paesaggista di Central Park a New York, e Daniel Burnham, che ne saranno i protagonisti, ma anche George B. Post, Richard H. Hunt, Charles McKim, Robert Peaboy, Henry Van Brunt a cui si aggiungeranno Louis Sullivan assistito dall’esordiente Frank Lloyd Wright. La scelta di Jackson Park un’area malsana da bonificare lungo il lago Michigan sembrò azzardata e rallentò i lavori ma anche se la cerimonia di dedicazione fu fissata per il 21 ottobre 1892, l’apertura dei padiglioni fu posticipata al 1° maggio dell’anno seguente. Il successo dei 156 giorni di apertura fu decretato dai 27 milioni e mezzo di visitatori. Perpendicolare al fronte del lago si apriva il Basin una grande vasca dominata dalla Statua della Repubblica  e lungo i cui lati si affacciavano il Palazzo delle Macchine, quello dell’Agricoltura, da un lato, e i Palazzi delle Miniere, dell’Elettricità e quello gigantesco delle Manifatture, dall’altro. Sulla piazza, dietro il Palazzo dell’Amministrazione si attestavano i binari della Terminal Station, un edificio in ferro, in stile romanico alto 26 metri e lungo 135. Ma la White City che occupava un’area trapezoidale di 257 ettari si estendeva a nord con i padiglioni delle nazioni ospitate attorno alla Laguna al centro della quale si ergeva la Wooded Islandcon il Rose Garden e un padiglione del Giappone. Tra le attrazioni più gettonate dal pubblico fu innanzitutto la FerrisWheel, una gigantesca ruota panoramica del diametro di 80 metri e dotata di 36 cabine, ma anche la prima cucina interamente elettrica, attrezzata con una lavastoviglie automatica, e ancora tapis roulant, chiamati Travelator e le prime lampade fosforescenti, antesignane dei moderni tubi fluorescenti. Negli spazi ospitanti la Westinghouse Company si tennero dimostrazioni pubbliche delle machine a induzione sviluppate da Nikola Tesla, che suggellarono il successo della corrente alternata nei confronti delle ben più tradizionale corrente continua, ancora cavallo di battaglia del suo acerrimo avversario Thomas Alva Edison.
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