giovedì 3 settembre 2015
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Wolfhart Pannenberg è nato a Stettino, allora territorio tedesco e ora polacco, il 2 ottobre 1928; ha ricevuto il battesimo nella Chiesa evangelica, ma non ha avuto da subito un’educazione cristiana. Ha intrapreso i suoi studi di teologia e in filosofia in diverse università: Berlino, Göttingen, Basilea e Heidelberg dove ha conseguito il dottorato nel 1955. È stato uno degli animatori del famoso circolo di Heidelberg dove con altri dottori di ricerca vicini a Gerhard von Rad ha ripensato la teologia nell’ottica della storia delle tradizioni. Ha successivamente insegnato teologia sistematica alla Kirchliche Hochschule Wuppertal dal 1958 al 1961: si è trasferito poi a Magonza fino al 1968, accettando diverse offerte di visiting professor negli Stati Uniti. Dal 1968 è stato docente di Teologia sistematica a Monaco di Baviera fino al 1993. Come pastore, ha tenuto diverse prediche all’università, ma ha scelto di dedicarsi interamente alla ricerca. A Monaco è stato fondatore e direttore dell’istituto per l’ecumenismo. È morto il 4 settembre 2014.Un teologo capace di conciliare in modo armonico il rapporto tra fede e ragione, di dialogare con le scienze, ma soprattutto di avere a cuore il difficile e a volte accidentato, cammino ecumenico tra protestanti e cattolici. Sono alcuni dei tratti salienti che hanno caratterizzato l’azione e il pensiero del teologo evangelico Wolfhart Pannenberg (1928-2014). Un pensatore che proprio per il suo approccio di apertura al mondo e alle scienze è divenuto, nel corso di questi anni, un punto di riferimento per numerosi esponenti della Chiesa cattolica (come i cardinali Kasper e Ruini) anche per essere stato un pioniere della «cristologia dal basso» e uno strenuo difensore del valore scientifico, anche a livello universitario, della teologia. Come testimonia la citazione e l’omaggio al teologo evangelico presente nel secondo volume Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI . A un anno dalla sua morte, avvenuta il 4 settembre, rimane del tutto intatta la forza e l’attualità di questo pensatore in particolare per la sua attenzione alla storia della Chiesa e delle tradizioni: Pannenberg è ricordato per il suo capolavoro in tre volumi Teologia sistematica in cui offre una lettura inedita non solo del protestantesimo, ma anche un ripensamento della tradizione teologica in chiave ecumenica ed evolutiva.  Ne è convinto il teologo don Giuseppe Accordini, autore tra l’altro per Morcelliana nel 2000, nella collana “Novecento teologico”, di un volume dedicato al pensiero di Pannenberg: «Fin dagli inizi della sua riflessione ha inteso superare l’emarginazione della fede e della teologia rispetto alla ragione moderna. Quando pensa al rapporto tra fede e ragione non pensa a due mondi paralleli, ma ad una realtà storica unica che la fede non produce, ma in cui si riconosce, perché è abitata dalla realtà di Dio. La Rivelazione accade nella storia universale e la fede è a disposizione anche del non credente, cioè di chiunque abbia occhi per vedere. Il suo pensiero può essere ritenuto quello che in ambito protestante ha raccolto in forma evidente la sfida all’illuminismo. Il disegno teologico di Pannenberg mostra nel suo sviluppo e nelle sue varie parti un’impressionante coerenza».  Un intellettuale dunque di frontiera, nutrito del pensiero di Hegel, Barth, Bultmann e, inusuale per un protestante, non ostile alle riflessioni di Tommaso d’Aquino e soprattutto capace (grazie anche ai suoi saggi più famosi come Rivelazione come storia, La Teologia e il Regno di Dio, Cristologia, Epistemologia e teologia) di divenire uno dei protagonisti del dibattito teologico della seconda metà del Novecento. «Uno dei suoi grandi meriti – osserva il teologo piamartino Rosino Gibellini – è stato quello di reagire contro una teologia 'posizionale', semplicemente espressionistica, che funziona da cassa di risonanza di desideri vari e che si limita a esprimere il punto di vista del credente, per cui 'ciascuno parla solo per se stesso': si batte per una teologia 'argomentativa', che si sente responsabile di fronte alla razionalità critica». E annota un particolare: «L’impresa di Pannenberg si presenta come un vasto tentativo di rifondazione della teologia cristiana, in vista di una riconciliazione tra fede cristiana e ragion critica». Il professor Gibellini intravede in Pannenberg «intellettuale elegante e coltissimo nelle citazioni» punti di assonanza con la «svolta antropologica di Karl Rahner», ma anche «col celebre discorso di Benedetto XVI a Ratisbona». Ma è proprio sui punti di incontro tra Ratzinger e il pensatore evangelico sul loro «non adattarsi al secolarismo moderno» che si sofferma il filosofo gesuita e autore di numerosi articoli per La Civiltà Cattolica dedicati proprio a Pannenberg Gianluigi Brena: «Non è mai stato considerato un pensatore attuale in ambito protestante. È stato spesso visto e criticato fin da principio come conservatore, anche perché era sensibile a diversi temi della tradizione antica e medievale. Mi torna spesso in mente quanto disse nel 1992 sull’allora cardinale dell’ex Sant’Uffizio: “Direi che nella sostanza si può essere d’accordo con Ratzinger, il quale come teologo di formazione patristica ha assunto una posizione liberale, secondo lo spirito di apertura della Chiesa antica. Ha praticato questa apertura al Logos universale, prima e dopo il Concilio, contro la neoscolastica a favore dell’orientamento patristico”».  Sarà il terreno dell’ecumenismo a mostrare di Pannenberg gli aspetti e i riflessi più originali della sua ricerca. «L’attenzione a questo tema viene da lontano, dal suo maestro Edmund Schlink e dalla sua profonda conoscenza teologica delle tradizioni confessionali, dallo studio di Duns Scoto e di Tommaso d’Aquino oltre che ai padri della Riforma – osserva Accordini – . Egli non è stato solo un teologo di professione, ma ha diretto anche l’istituto per la ricerca ecumenica dell’università evangelica di Monaco. Guarderà con favore e con molta attenzione, dopo il viaggio di Giovanni Paolo II in Germania nel 1980 ai frutti della commissione paritetica cattolico- protestante per la revisione degli anatemi del XVI secolo. Egli è convinto che se in quel processo agisce lo Spirito allora va preso in considerazione».  Con la pubblicazione dell’enciclica del 1995 Ut unum sint espresse alcune perplessità. Rivela a questo proposito padre Brena: «Interpretò quel documento come una apertura privilegiata solo per gli ortodossi, e che per i protestanti non ci fosse nessun reale avvicinamento. Riteneva giusto che l’ecumenismo dovesse cominciare con le antiche sedi patriarcali, ma si aspettava che potessero trovare vie di soluzione anche le altre divisioni, che ormai sembrano essere superate dalla storia».  Un lascito dunque quello di Pannenberg nel campo del dialogo tra i cristiani, secondo Gibellini, ancora da scoprire: «In campo ecumenico egli presenta e propone un’ecclesiologia non ecclesiocentrica, ma elaborata nella prospettiva del destino dell’uomo e dell’umanità. In questo sta certamente parte della sua grandezza». Ma di questo pensatore, a un anno dalla morte rimane soprattutto la cifra della sua originalità. «Pannenberg non è diventato popolare – è la riflessione finale di padre Brena – e non sembra abbia fatto scuola neanche tra i teologi che raramente hanno adottato il suo metodo. Eppure la sua capacità di curare simultaneamente il dettaglio e la visione di insieme, e il suo impegno di fedeltà al Vangelo in un confronto sistematico con la filosofia e le scienze attuali rappresentano dei contributi di grande significato che potranno, credo, essere valorizzati e riconosciuti soltanto nel futuro».
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