sabato 17 maggio 2014
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L’immagine definitiva – l’icona, avrebbe detto il cardinale Carlo Maria Martini – la offre la direttrice della Pinacoteca di Brera, Sandrina Bandera, che fino a quel momento è rimasta seduta tra il pubblico. Giovanni Bellini, la Cimasa della Pala di Pesaro, con Nicodemo che regge il Cristo morto mentre la Maddalena unge il corpo esanime. «Gesù sta come seduto – spiega la studiosa –, sembrerebbe ancora vivo. E lo è, infatti, perché Cristo vive nella carità».Milano, parrocchia di Santa Maria del Rosario, in quella parte di città che non è più periferia e ancora non è centro. A pochi passi da qui, nel 1980, Walter Tobagi cadde sotto i colpi delle Brigate Rosse, qui furono celebrati i suoi funerali (la chiesa piena, la folla assiepata in piazza), qui da oltre trent’anni il centro culturale a lui intitolato ne tiene viva l’eredità e la passione. E qui, giovedì sera, sono tornati a incontrarsi il regista Ermanno Olmi e il teologo Pierangelo Sequeri, che per la prima volta si erano incrociati su Avvenire poco più di un anno fa.Eravamo ai primi marzo del 2013, la rinuncia di Benedetto XVI era notizia recente, Olmi pubblicava da Piemme la sua Lettera a una Chiesa che ha dimenticato Gesù, Sequeri replicava il giorno 6 da queste colonne citando Karl Barth e la necessità di camminare insieme per impedire al Grande Inquisitore di espropriare il Poverello. Il faccia a faccia proseguiva sempre su Avvenire qualche giorno dopo, il 10, con Olmi che insisteva sull’urgenza di un ritorno alle origini e Sequeri che rilanciava elogiando il comandamento dell’amore. Com’è andata lo sappiamo: il 13 marzo il conclave si concludeva con l’elezione del Papa preso «quasi alla fine del mondo» e che sceglieva per sé il nome di Francesco.È ancora attuale un dibattito come questo sotto il pontificato di Bergoglio?, si domanda all’inizio della serata milanese Marco Garzonio, conoscitore di lungo corso della Chiesa non solo ambrosiana. Olmi non ha dubbi e, tanto per non smentire la sua fama di incorreggibile ottuagenario, propone di correggere il titolo proposto dagli organizzatori: anziché «Amare per credere, credere per amare» un più terreno «Amare per conoscere», con quel che segue. «Perché la conoscenza è il compito dell’uomo ora che Dio non c’è più – dice –. Sì, non c’è più perché con la creazione Dio è entrato nel tutto, è dentro di noi e lì dobbiamo scoprirlo, per poi esplorare i misteri del cosmo. Oggi la vera fede è la scienza, che permette di spingere il pensiero fino agli estremi confini dell’universo. Abbiamo misurato la velocità della luce, vi rendete conto?».«Lo so che quando faccio questi discorsi molti se la prendono. È successo anche con i miei ultimi film. Centochiodi> ha dato fastidio agli intellettuali, perché il protagonista è un professore, ma rinuncia a tutti i libri del mondo che – secondo lui – non valgono un caffè con un amico. E non è piaciuto ai preti per l’idea che l’uomo possa, anzi debba chiamare Dio in giudizio. Il villaggio di cartone ai preti ha dato noia ancora di più. Racconta la storia di uno di loro, un sacerdote per il quale il bene conta più della fede…».
Monsignor Sequeri non si lascia sfuggire l’occasione: «Una frase così può pronunciarla soltanto un uomo di fede – ribatte –. Ma il paradosso più grande è un altro: se non ci fossero film come quelli di Olmi, e insieme con i film i libri, le immagini e i suoni di cui ci nutriamo, non saremmo in grado di apprezzare il valore del famoso caffè. Nel migliore dei casi, ci limiteremmo a sperare che l’amico lo paghi al posto nostro. Più che altro, il libro che ci guida è il Vangelo, dove scopriamo che questo è l’insegnamento diretto di Gesù, è il contenuto dell’ospitalità che prende forma nell’agape ed è il mistero per cui un bicchiere d’acqua dato a un povero apre le porte del Regno».«La teologia si è soffermata troppo poco sugli affetti di Dio, ma il punto decisivo sta proprio nelle dinamiche dell’affezione, nello scambio che arricchisce le relazioni e rende possibile il nostro conformarci al dogma dei dogmi: se Gesù fa e dice questo, allora certamente Dio lo fa e lo dice. Per il cristiano Dio non è un’astrazione, è Gesù stesso nella sua vicinanza all’uomo, nella sua affezione, appunto, nello scambio continuo che porta Cristo ad assumere su di sé il dolore del mondo». Siamo alle battute finali. Sale sul palco il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, che riassume la vicenda terribile ed esemplare della sudanese Meriam, un apologo dal vero in cui credere e amare si intrecciano indissolubilmente. Forse non ha torto Olmi quando sostiene la centralità del dono di papa Luciani alla Chiesa. Dio è padre e madre, insegnava Giovanni Paolo I. Come una madre soffre, come un padre sopporta.
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