martedì 21 ottobre 2014
​La nostra lingua ha mille anni di storia e – unica al mondo – è nata subito grandissima con san Francesco, Dante, Petrarca e Boccaccio. Oggi ha bisogno di essere curata e riscoperta. Parla il linguista Gian Luigi Beccaria.
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Si è aperta ieri la XIV “Settimana della lingua italiana nel mondo”. L’iniziativa, voluta dal ministero degli Esteri in collaborazione col ministero dell’Istruzione e il ministero dei Beni culturali, si avvale della rete culturale e diplomatica della Farnesina, coinvolgendo ambasciate, consolati, istituti italiani di cultura, scuole e università. Sono previste mostre, spettacoli, convegni e incontri con personalità dell’arte e della cultura. In questo contesto prendono il via oggi a Firenze gli Stati generali della lingua italiana nel mondo. Due giorni di manifestazioni e dibattiti sulle strategie di promozione e diffusione dell’italiano nel mondo globalizzato, che si tengono a Palazzo Vecchio, al Teatro della Pergola, al Palagio di Parte Guelfa, alla Biblioteca delle Oblate, alla Biblioteca Laurenziana, al Cenacolo di Santa Croce e alla Società Dante Alighieri. Prevista la partecipazione del sottosegretario agli Esteri e coordinatore della “Settimana”, Mario Giro e, fra gli altri, della scrittrice Dacia Maraini e del tenore Fabio Armiliato.   La settimana della lingua italiana nel mondo è appena cominciata e già si accavallano gli studi, i sondaggi, i libri sull’argomento. Di ieri, per esempio, è un’indagine di www.libreriamo.it condotta su cinquemila persone, secondo la quale il podio degli strafalcioni scritti e parlati degli italiani è occupato da 'un pò', 'qual’è' e dal non uso o uso errato del congiuntivo. Non a caso un linguista e critico letterario come Gian Luigi Beccaria autore del reccentissimo L’italiano in 100 parole (Rizzoli, pp. 490, euro 18), subito dopo aver sottolineato l’importanza dell’iniziativa del Ministero degli esteri, annota: «Bisogna pensare all’italiano nel mondo, ma dobbiamo cominciare a pensare anche a fare qualcosa per migliorarlo in Italia. La nostra è una lingua ricchissima e la gente non la conosce, non la possiede. Parole certamente utili come ok e gossip sostituiscono e accorpano espressioni un tempo comuni che non si usano più per pigrizia. L’italiano scritto peggiora sempre di più. La sintassi latita. La civiltà delle immagini punta tutto sulla velocità esiliando il ragionamento e la costruzione del discorso. Un fenomeno non solo italiano, ma sul quale bisogna meditare». Non è solo colpa dell’inglese, quindi? «Vede, la ricchezza di una lingua è anche nella sua capacità di sapersi 'imbastardire' assumendo parole e concetti dall’esterno. Non a caso questa è la forza dell’inglese moderno, che non ha mai avuto momenti di difesa del 'purismo', ha preso tutto da tutti: latinismi, francesismi, italianismi, arabismi...». Lei però nel libro lamenta un uso eccessivo di 'anglicismi' nell’italiano attuale... «Troppi e anche a sproposito, con l’uso di espressioni che in inglese nessuno si sognerebbe di utilizzare, come: andare in tilt , toast, autogrill , slip, golf ... Certo non dobbiamo chiuderci, ma dobbiamo anche un po’ difenderci. Parole inglesi come okgossip, dicevamo, impoveriscono la nostra lingua: non si dice più 'va bene', 'sta bene', 'tutto a posto', non si 'spettegola' più, non si fanno più 'chiacchiere malevole', non si dicono 'indiscrezioni', 'maldicenze', ma si dice sempre 'ok' e si fa sempre e soltanto gossip. E poi penso anche all’uso di parole italiane come se fossero il corrispettivo inglese». Per esempio? «La parola 'grosso' che traduce l’inglese big e viene usata in italiano alla stessa maniera al punto che si stanno perdendo gli altri equivalente italiani che offrono molte sfumature. Così diciamo uniformemente: un 'grosso evento', un 'grosso scrittore', un 'grosso personaggio', un 'grosso successo'... Penso anche alla parola 'testare' nell’uso che deriva dall’inglese to test, che funziona bene, ma ha eliminato sinonimi come 'provare', 'saggiare', 'sperimentare', 'analizzare', 'collaudare'...». L’italiano che emerge dal suo libro, però, è una lingua ricchissima, che nei secoli ha saputo restare vitale grazie anche alla capacità di rendere proprie parole di altre lingue. «Il concetto giusto è rendere proprio per arricchire la lingua, non quello di assorbire acriticamente per impoverire il linguaggio. In questo senso non esiste l’italiano puro. Esistono centinaia, migliaia di vocaboli che vengono da altre lingue e sono diventati italiano. Pensiamo solo a quelli che derivano dall’arabo: 'ragazzo', 'bizzeffe', 'zenit', 'almanacco', 'algoritmo', 'algebra', 'sciroppo', 'spinacio', 'zafferano', 'carciofo', 'arancio', 'cappero', 'arsenale', 'tariffa', 'quintale', 'carrugio', 'camallo', 'zero'... Ecco, pensiamo solo all’importanza di 'zero'...». Intende come concetto? «Lo 'zero' era ignoto ai Greci e ai Latini. Un numero che introduce il concetto del nulla e del vuoto: arriva nel Medioevo e cambia il modo di pensare, di argomentare, di filosofare». Proprio nel Medioevo nasce e si forgia la nostra lingua. «È per questo che la prima parola-espressione delle cento del mio libro è sao ko kelle terre. Si tratta della prima attestazione di una frase in volgare. Risale al 960. È tratta dal cosiddetto Placito capuano, un atto notarile che sancisce che la locale abbazia benedettina è legittima proprietaria di certi terreni. Tutto è scritto in latino, ma i tre testimoni che asseverano la proprietà pronunciano una frase in volgare, non perché non sanno il latino, ma perché quella è la formula d’uso:  Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti». La seconda parola è 'laudare'. «Perché il Cantico delle creature è il più antico componimento in volgare del quale si conosca l’autore e l’anno (1224-1226)». Insomma, l’italiano comincia come lingua colta e aulica. «L’italiano è stato fino all’800 più una lingua scritta che parlata perché la gente usava i dialetti. E lo scritto, come non è capitato in nessun’altra lingua, diventa subito gigantesco con Dante, Petrarca, Boccaccio, riferimenti precisi per molti secoli. Solo Manzoni nella prosa, Leopardi, Carducci e Pascoli nella lirica ci emancipano da quegli schemi». Il ’700 è un altro momento importante. Lei ne parla anche attraverso la 'parola' 53: 'atmosfera politica'. «In quell’epoca, grazie all’influenza francese, tante parole che hanno un significato solo per le tecniche e i mestieri acquistano un senso figurato. Vocaboli come 'duttile' e 'amalgama' in italiano erano riferite solo ai metalli. 'Atmosfera', 'termometro' ed 'elettrico' escono dai loro contesti scientifici e si apre un mondo nuovo fatto di 'atmosfere elettriche', 'situazioni elettrizzanti', 'termometri politici'». Poi ci sono le parole italiane nel mondo... «Ci sarebbe da fare un libro solo per la terminologia musicale nata da noi ed esportata per secoli nel mondo. 'Adagio', 'allegro', 'tenore', 'sinfonia', 'viola', 'violino', 'maestro', 'diva' sono solo alcuni esempi e ancora oggi sfogliando le pagine di giornali inglesi che si occupano di musica troviamo 'belcanto', 'cadenze', 'capriccio'...».
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