sabato 23 gennaio 2016
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«Più che edifici: città nella città». Così descrive gli ospedali   Stefano Capolongo, che nel Politecnico di Milano si occupa di Progettazione delle strutture sanitarie e da anni dirige su questo tema un Master coordinato anche con le Università Statale e Cattolica. «Gli ospedali sono strutture di altissima complessità, in cui coesistono le attività più diverse: residenze, luoghi di commercio, settore terziario, impiantistica... ». Basti ricordare che non chiudono mai, sono aperti 24 ore al giorno e dispongono di macchinari sofisticati e in continua evoluzione, per le terapie come per la gestione delle condizioni ambientali. Utilizzano farmaci di diversa provenienza che vanno acquistati, conservati, opportunamente utilizzati. Come gli alberghi, hanno cucine, sale da pranzo, letti, lavanderie ecc. Vi opera una popolazione di medici, infermieri e altro personale addetto alla manutenzione (dalla disinfezione dei locali all’efficienza delle apparecchiature), alla gestione dei servizi, stagisti, studenti... E gli utenti possono presentare i problemi più diversi, di carattere fisico e psichico. «Come luogo protesico, l’ospedale dev’essere tale da sopperire a carenze o menomazioni di ogni tipo, fisico o psichico, momentanee o permanenti – spiega Capolongo –. Così che il malato si trovi in condizioni di sicurezza, che la sofferenza sia alleviata e ogni persona sia posta nelle condizioni psicofisiche più adatte a recuperare al meglio la salute, ovvero quell’insieme di benessere fisico, psichico, sociale».L’architettura non è estranea a questo compito. E in questi anni recenti si è dimostrato come essenziale sia che allo spazio costruito si associ il verde. La presenza di piante ha una tale influenza sulle condizioni del malato che si è sviluppata l’approccio chiamato «giardino terapeutico» (healing garden).  L’idea fu proposta per la prima volta nel 1984, in un articolo pubblicato sulla rivista “Science” da Roger Ulrich,  attualmente docente di architettura al Centro per la ricerca sugli edifici per la salute della Chalmers University di Göteborg (Svezia), ritenuto il massimo esperto in materia. L’articolo si intitolava La vista dalla finestra può influire sulla guarigione dopo un intervento chirurgico. Ulrich ha riferito che l’idea per la ricerca compiuta derivò dalla sua esperienza personale: da ragazzo soffrì per una nefrite che lo costrinse a lunghi periodi di degenza a letto. Durante i quali si sentì sostenuto soprattutto dal fatto di poter guardare dalla finestra le fronde di un abete. Ricerche successive compiute in molti Paesi hanno dimostrato che l’effetto curativo della visione delle piante vale per tutti. «Ha preso piede anche l’ortoterapia, ovvero il giardinaggio per scopi terapeutici. Con diverse specializzazioni: per esempio per i malati del morbo di Alzheimer vi sono i giardini aromatici, perché in loro la percezione olfattiva è la meno colpita». Come sostiene Mary Jo Kreitzer, medico dell’università del Minnesota, «l’aspetto più importante nei giardini terapeutici è che vi siano piante vere, e fiori, magari anche dell’acqua tranquilla. La presenza di statue o di altri artefatti non porta effetti benefici simili a quelli che provengono dalla natura». La Kreitzer spiega inoltre che le piante e gioiosi gorgoglii d’acqua sono utili per isolare i luoghi di degenza dai rumori tipici della città: anche questi infatti hanno un effetto negativo sulle condizione psichiche delle persone. I giardini curativi si vanno diffondendo: è usuale che i nuovi ospedali siano dotati di piante, sia all’esterno, sia all’interno. In quest’ultimo caso con grandi serre, in cui si possa passeggiare. E quelli già esistenti cercano di dotarsene. Qualche esempio: il nuovo ospedale di Biella (progetto “Una 2 architetti associati”) dispone di un tetto completamente a verde ed è strutturato in modo tale da favorire la vista sulle vicine montagne. A Milano l’Istituto dei Tumori si è dotato di un tetto verde. In Svizzera lo studio di Silvia Gmür (specializzato in progetti ospedalieri) sta realizzando il nuovo nosocomio civico di Soletta, con una struttura in pianta a forma di “L” disposta attorno al luogo ove sorgeva il vecchio ospedale: questo sarà abbattuto e al suo posto vi sarà un ampio giardino.  Perché, sostiene Stefano Capolongo, gli ospedali non possono invecchiare: «Il costo per costruirne uno nuovo equivale a quello per gestirlo un solo anno. Devono essere strutture flessibili, capaci di aggiornarsi. Ma dopo cinquant’anni sono obsoleti. Al punto che per esempio il nuovissimo Martini Hospital di Gröningen in Olanda è stato pensato per essere sostituito tra una cinquantina di anni». E le vecchie strutture di valore storico? «Com’è accaduto per la Ca’ Granda, l’ospedale costruito a Milano da Filarete a metà del XIV secolo, che resta come sede universitaria, possono cambiare destinazione. Centri di ricerca, luoghi di studio, biblioteche. Ma non luoghi per la terapia». Questi dovranno sempre esser all’avanguardia. E soprattutto pieni di piante che ricreino l’ambiente naturale, quello più consono alla vita.
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