mercoledì 29 luglio 2015
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Dalle origini – quando sulla neutralità prevalsero le mire imperialistiche (governative, militari, industriali, o di larghe frange della monarchia come pure della borghesia) – sino alla fine del conflitto sul fronte italiano (più per la ritirata dello stremato esercito austroungarico che per l’offensiva delle nostre divisioni e di quelle alleate) – questo libro racconta la storia dell’opposizione alla Grande Guerra: fatta dai cittadini e dai soldati. Ercole Ongaro, che due anni fa ha pubblicato Resistenza nonviolenta 1943-1945, affronta in queste nuove pagine (No alla Grande guerra 1915-1918, Libri di Emil, pagine 302, euro 18) il primo conflitto mondiale sempre attento alle declinazioni del dissenso espresso in obbedienza al comandamento 'non uccidere'. Una ricostruzione che affonda le radici nell’antimilitarismo all’alba del ’900 (subito dopo la repressione seguita alle proteste sociali del 1898), che spiega i primi orientamenti per la neutralità (quella attendista del governo, quella incondizionata dei cattolici, quella assoluta dei socialisti), che scandaglia le reazioni al pacchetto di decreti circa lo stato di guerra (sia nell’opinione pubblica sia nell’opposizione parlamentare socialista). E che poi analizza le risposte immediate con gli internamenti già nei primi mesi del conflitto (quasi cinquantamila le persone colpite, e, nella zona occupata dalle truppe italiane, insieme ai vari 'sovversivi' quasi tutti i parroci, gli attivisti cattolici, i maestri), seguendo l’evoluzione bellica successiva: tra nuovi provvedimenti per fronteggiare 'il disfattismo' e per reprimere l’opposizione dei soldati. Compresa la circolare che proclamava 'sacro dovere' di un superiore il fucilare 'i recalcitranti e i vigliacchi'. Ed è anche alla luce di queste feroci misure repressive – messe in campo dal governo e dal Comando supremo – che l’autore pesa il valore delle scelte di quanti «espressero con discorsi, gesti, azioni, il loro No». Le scelte, cioè, di rifiuto dell’uso delle armi nello specifico caso dei militari (si veda l’approfondimento in questa pagina), ma anche finalizzate ad esprimere l’opposizione a quella guerra da parte di chi non l’aveva voluta e ne subiva il protrarsi, di chi l’aveva deprecata prima con manifestini o comizi privati, poi via via – tra la fine del 1916 e l’inizio del 1917 – con mobilitazioni aperte a favore della pace, con dimostrazioni di massa e proteste per l’infinito massacro. Tutto questo mentre fra gli arruolati – nello stesso periodo – aumentavano casi di renitenza (almeno centomila senza contare quelli che dall’estero preferirono non rientrare in patria), diserzione (centonovantamila denunce seguite per la metà da processi), autolesionismo (quindicimila denunce e oltre tremila condanne)... Ongaro si sofferma sull’opposizione alla guerra degli anarchici, dei cattolici (laici, esponenti del clero, alcuni vescovi), di cittadini di diverso credo religioso e politico che condividevano la definizione della guerra come 'inutile strage' nelle parole di Benedetto XV o riversavano i loro sfoghi nei discorsi, nelle canzoni piene di invettive (gli stornelli 'antipatriottici' o 'sediziosi'). Nel libro trovano spazio anche, come luci in una lunga notte buia, le fraternizzazioni con il nemico: episodi avvenuti già sui fronti europei dal dicembre, quando i soldati durante la tregua del Natale 1914 'ruppero un tabù': quello che chiedeva ai soldati schierati lungo trincee parallelele – distanti poche decine di metri – di spararsi addosso come bestie inferocite, non immaginando ci si potesse parlare, magari da lontano, come uomini destinati a vivere nella fratellanza e non nell’odio. Quello che la voce inascoltata dell’antimilitarismo aveva chiesto già al deflagrare del conflitto, facendo eco alla voce di tante coscienze, a un pacifismo di fatti e non di proclami fondato sulla nonviolenza attiva.
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