mercoledì 25 novembre 2015
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Lucidi giudizi sulle debolezze dell'amministrazione della Curia pontificia, impreparata alle complessità della finanza moderna e priva dei necessari controlli: "Troppo potere nelle mani di poche persone".Il documento «Le elezioni dell’aprile 1948 cambiano i legami tra la Chiesa e la politica italiana, ma ci sarà più distacco oppure più intrusione?» Il lucido resoconto spedito al ministro degli Esteri transalpino dal pensatore, quando era ambasciatore di Parigi presso la Santa Sede Dossier sul Vaticano Dispaccio dell’Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede a George Bidault, ministro degli Esteri. Oggetto: le elezioni italiane e la riforma dell’amministrazione vaticana (9 aprile 1948). Bisognerà attendere che l’eccitazione provocata dalla campagna elettorale venga meno per valutare l’effetto determinato dagli attacchi violenti e concentrati diretti dai partiti di sinistra contro la gerarchia ecclesiastica. Al di là dei loro risultati elettorali, questi attacchi avranno spezzato i secolari legami che fanno del clero italiano e delle istituzioni ecclesiastiche una delle strutture sociali e politiche più radicate nel Paese?  Si sarebbe portati a credere che la stessa violenza delle accuse, la diversità dei risentimenti, la sovrabbondanza delle «rivelazioni» che si succedono e di cui ciascuna fa dimenticare l’altra, la debolezza delle prove addotte e la febbre elettorale che si riflette su tutto ciò contribuiranno a contenere gli effetti di queste polemiche nei limiti di una campagna elettorale i cui fumi sono destinati a dissiparsi rapidamente dopo il giorno delle votazioni.Come ho fatto notare nel precedente dispaccio del 2 aprile, le difficoltà nelle quali la Chiesa italiana rischia di essere coinvolta risalgono a cause assai più profonde. Resta il fatto che, malgrado le sue esagerazioni e le sue falsificazioni, questa campagna elettorale condotta senza pudore ha posto in evidenza alcune delle debolezze dell’organizzazione e dell’amministrazione attuali della Chiesa: è possibile che i suoi difensori più fedeli possano trarre profitto dalle constatazioni che questi avvenimenti – per quanto spiacevoli per essi possano essere – impongono loro. La prima notazione riguarda il carattere obsoleto dell’organizzazione amministrativa e finanziaria della Chiesa. Sarebbe un grave errore considerare questa amministrazione come moralmente corrotta: casi come quello di Mons. Prettner - Cippico sono del tutto eccezionali. Il male riguarda prima di tutto la struttura amministrativa in se stessa, ciò che di fatto rende il problema non meno grave. Come la maggior parte delle istituzioni del Vaticano, questa amministrazione è stata creata per rispondere alle necessità di un tempo in cui la buona volontà e la buona fede erano sufficienti per fare di un prelato senza alcuna preparazione amministrativa una persona all’altezza del suo compito; un tempo in cui la Chiesa, impoverita dalla serie di rivoluzioni che hanno portato alla perdita degli Stati pontifici, non maneggiava che risorse relativamente poco importanti e operava in un contesto in cui gli scambi internazionali – economici, finanziari e monetari – non erano arrivati al grado di complessità raggiunto nel secondo dopoguerra. Un’amministrazione finanziaria che – per effetto dell’accresciuta influenza della Chiesa e della stessa estensione della sua opera missionaria e caritativa nei cinque continenti – avrebbe dovuto essere portata ad un alto grado di organizzazione e di competenze tecniche, si è trovata inadatta e sorpassata, moralmente e tecnicamente, e conseguentemente esposta ad errori, permeabile ad irregolarità, esposta a cedimenti nei confronti dei quali non si elevava la diga di un serio controllo. Questa assenza di controllo sembra essere un’altra debolezza della corte pontificia di Pio XII. Le stesse qualità del Pontefice non gli hanno giovato: la sua estrema delicatezza e la sua sensibilità lo allontanavano dalla severità e dalla mancanza di discrezione che ogni controllo richiede.  L’accogliente bontà che gli impedisce di rifiutare alcuna udienza e fa del suo tempo la preda dei visitatori; la cura minuziosa con la quale prepara i suoi numerosi discorsi; il suo interesse per la diplomazia e la politica: tutto ciò non gli lascia né il gusto per l’amministrazione né il tempo per dedicarsi ad essa.  L’assenza del Segretario di Stato ha accentuato la debolezza organica dell’amministrazione pontificia: fondata su una base troppo stretta per rispondere alle esigenze attuali, essa si trova ancora diminuita a causa della concentrazione delle funzioni di più persone nelle mani di una sola. Qui è in gioco non solo l’amministrazione dei beni temporali del Vaticano, ma è in questione la struttura stessa del suo governo, insieme all’assenza di un’efficace organizzazione della divisione del lavoro e di una bene ordinata gerarchia di funzioni e di responsabilità. Di qui l’importanza che assumono le influenze e i sentimenti personali. Non, tuttavia, nel senso che il Papa sia circondato da una sorta di camarilla o che egli sia quasi un giocattolo nelle mani del suo entourage; al contrario, attorno ad una personalità della grande elevatezza come quella di Pio XII regna un’atmosfera aperta, spirituale, meno soggetta agli intrighi rispetto a qualsiasi «corte» mai conosciuta. Ma tutto – informazioni, decisioni, controlli – sta nelle mani di poche persone, se non di una sola: cosicché le sfumature dei loro apprezzamenti e le fluttuazioni dei loro sentimenti rischiano di avere un’esagerata risonanza.  Nelle presenti circostanze, sembra che, se Pio XII si è intromesso ( mêlé) in modo così personale in questioni di politica interna italiana, la persistenza dell’eredità romana ( la fibre romaine), così evidente e così influente sulla sua sensibi-lità, ha contribuito non poco a determinare questo coinvolgimento, forse a sua insaputa. Il Papa ha intuito chiaramente che – se non interverrà prontamente dopo il 18 aprile un mutamento di rotta – l’esempio offerto dall’Italia rischia di essere seguito, per mimetismo e per interesse, da altri Paesi? E ciò ancor più per il fatto che l’influenza esercitata sulla persona di Pio XII dalla politica italiana fa già intravedere alcune modificazioni del suo entourage. In effetti Mons. Montini, per convinzione personale, si è sempre mostrato ligio alla linea di Pio XII per quanto riguarda l’Azione cattolica: la Chiesa e la gerarchia devono mantenersi il più possibile lontane da ogni intervento nell’ambito della politica; appartiene ai laici cattolici la responsabilità di agire in questo campo, liberamente e sotto la loro responsabilità. Egli [Montini] aveva fatto nominare alla guida dell’Azione cattolica – questa carica, in Italia, è di grande importanza – un uomo di grande valore e che condivideva per intero le sue idee, Vittorino Veronese. Senza dubbio, in apparenza, nulla è cambiato; tuttavia non è un mistero per nessuno che l’orientamento dato attualmente all’azione del Papa per effetto delle preoccupazioni elettorali attenua non poco ( écarte quelque peu) l’influenza di Mons. Montini e riavvicina al Papa i Cardinali Bruno e Pizzardo ed i prelati a loro favorevoli, nello stesso momento in cui sostituisce all’influenza di Veronese quella di Luigi Gedda.Così, dopo le elezioni, due questioni, a quanto sembra, si porranno in Vaticano. In primo luogo: l’intervento (immixtion) della Chiesa nella politica interna italiana resterà un avvenimento transitorio, dovuto alle circostanze, o si trasformerà in un duraturo nuovo orientamento? Se così fosse, la «italianità » del Vaticano avrebbe mostrato a qual punto questo fattore pesa sui destini della Chiesa.  In secondo luogo: la S. Sede terrà conto dell’esigenza di una riorganizzazione e di una riforma che, per quanto abbiano fornito pretesti ad attacchi esagerati ed ingiusti, sono apparse evidenti agli occhi di tutti alla luce degli ultimi avvenimenti?  Sono, questi, due problemi ai quali un prossimo avvenire darà senza dubbio risposta.

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