giovedì 21 luglio 2016
La Pira, io sto con Israele
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Il rapporto tra Giorgio La Pira e il mondo ebraico. Il suo atteggiamento nel contesto culturale, ecclesiale, politico, nella Firenze tra gli anni Venti e Quaranta, tra riviste e frati, fascisti e cattolici. Il suo impegno contro la persecuzione antisemita e le leggi razziali; quindi nella reintegrazione degli ebrei fiorentini dopo la Shoah... Le relazioni ebraico-cristiane: dal tempo del disprezzo a quello del Concilio Vaticano II e della Nostra aetate; quelle internazionali dopo la fondazione dello Stato ebraico.

 

E, soprattutto, la riflessione e la prassi lapiriane nel conflitto arabo-israeliano: ma pure la sua coscienza dell’unità politica e giuridica nell’ordinamento internazionale, già espressa nell’assemblea costituente della Repubblica italiana settant’anni fa. Infine il sogno di un Mediterraneo dal destino di pace, di una Terra Santa madre di tutti i negoziati, quasi premesse necessarie – come scriveva La Pira su “Note di cultura” nel febbraio 1968 – per «superare con un atto di fede religioso e storico e, perciò, anche politico [...] tutte le divisioni che ancora tanto gravemente rompono l’unità della famiglia di Abramo». 

 

Sono questi i temi sviluppati nel libro Ritornare a Israele. Giorgio La Pira, gli ebrei, la Terra Santa, a cura di Maria Chiara Rioli (Edizioni della Normale, pagine 280, euro 25,00), frutto del lavoro di un’équipe coordinata dalla Normale di Pisa e dalla Fondazione La Pira, che ha valorizzato – attraverso diversi saggi analitici – documenti inediti raccolti in archivi europei e mediorientali. Così anche grazie ai lavori di Francesco Dei, Francesca Cavarocchi, Sebastiano Nerozzi, Elena Mazzini, Marco Luppi, Arturo Marzano, Fabrizio Mandreoli, il ruolo avuto da La Pira si staglia sempre più nitido, e comunque si provi a collocarlo: seguendo una cronologia che parte da molto lontano, provando a valutarlo da diverse prospettive gravide di interessanti suggestioni, passando al setaccio la sua ricca corrispondenza, la rete dei collaboratori, i tanti interlocutori lungo quasi mezzo secolo.

 

Dai pontefici del suo tempo (Pacelli, Roncalli, Montini), a noti leader del mondo arabo ed ebraico (come Nasser o Arafat del quale fu il primo a riconoscere il necessario coinvolgimento nei negoziati, i re Hussein di Giordania o Hassan del Marocco, David Ben Gurion o Moshe Dayan o Golda Meir al quale La Pira il 14 agosto 1958 scriveva «Israele è un punto essenziale nella teologia della storia»), oppure personaggi come Divo Barsotti o Jean Danielou, René Habachi o Martin Buber o André Chouraqui. Pagina dopo pagina ecco il percorso di un giovane professore pronto a palesare subito la sua distanza da ogni totalitarismo e da ogni pratica di discriminazioni, di un giurista che sulla sua rivista “Princìpi” faceva tornare il sintagma caro a Pio XI «unità del genere umano», di un uomo vicinissimo agli ebrei fiorentini al tempo della persecuzione e dopo la liberazione (quando fu nominato presidente dell’Ente comunale di assistenza), nella promozione della sezione fiorentina dell’Amicizia ebraico-cristiana (sulla scia delle tesi di Jules Isaac), e nella partecipazione alle vicende conciliari, sino al dinamismo – da statista – nei ripetuti negoziati durante l’eterno conflitto Israele-Palestina, nel perseguimento di un traguardo di convivenza pacifica tra ebraismo, cristianesimo e islam.

 

Un percorso che questi saggi ricostruiscono in chiave storica, ma pure nei grovigli teologici, consentendo di leggere un’evoluzione del pensiero solo a tratti lineare: dal riconoscimento del destino di Israele al superamento del deicidio, dall’abolizione della teoria della sostituzione all’ebraicità di Gesù, dalle prospettive del rinnovamento conciliare a quelle aperte su ogni promozione della pace. Prospettive che non riuscirono mai a separare il La Pira politico e il La Pira spirituale, a scomporre visione storica e teologica, a cancellare differenti conseguenze da concetti come «civiltà cristiana» e «comune figliolanza abramitica».

 

«...La geografia della grazia condiziona la storia dei popoli!», scriveva La Pira a Danielou il 5 aprile 1960. A quella storia il professore guardò con lucidità. Viaggiando ripetutamente, mediando, abbracciando con entusiasmo il «ritorno di Israele», ma tenendo presenti le esigenze della minoranza araba e la necessità di uno Stato palestinese, osando restare in contatto con tutti, persino i gruppi dissidenti e gli «ebrei di fede cattolica che si trovavano in Israele». Il cammino di un profeta del ’900 che ha indicato – come riconosce Daniele Menozzi aprendo questa raccolta di saggi – «la possibilità di trarre dal messaggio cristiano gli anticorpi necessari ad opporsi, pur senza abbandonare la prospettiva finale di una unitaria ricomposizione delle differenze religiosa, a quelle tendenze storiche in cui la convivenza civile pare volgersi alla cancellazione violenta dell’alterità».

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