venerdì 15 aprile 2016
JESSIE WHITE, sguardo sull'Italia «indegna»
COMMENTA E CONDIVIDI
Era inglese, ma fu la patriota più ardente del nostro Risorgimento. Seguace di Mazzini, fra i Mille con Garibaldi, moglie di Alberto Mario, fino al 1870 non c’è stato evento che non l’abbia vista in prima fila. Poi, fatta l’Italia, Jessie White (è di lei che parliamo) cambiò registro e divenne l’instancabile e implacabile cronista dell’infinita povertà che si celava in tutte le periferie del nostro Paese. Sui giornali italiani, ma anche inglesi e americani, si attribuì lo sgradevole incarico di descrivere l’Italia vera, non quella delle favole patriottiche. Molti cercarono di dissuaderla, per non svegliare il cane che dorme, come le ripetevano.
 
 
 
Ma per la White risvegliare gli italiani dalle loro illusioni era un dovere, come lo era stato pochi anni prima lottare per l’unificazione. «Se nel passato era dovere creare una patria», scriveva, ora il dovere consiste nel renderne «degni» gli italiani. Arrivò a dire, lei mazziniana e repubblicana da sempre, che discutere di monarchia, repubblica o stato federale era perfettamente inutile finché la maggior parte del Paese era condannata «all’ignoranza assoluta e a intollerabile sofferenza». 
 
 
 
La sconvolgente miseria della penisola l’aveva toccata con mano seguendo Garibaldi in Sicilia, in Calabria, in Campania, nell’Agro romano, muovendosi con il marito nelle campagne della bassa Pianura padana infestate dalla pellagra (la malattia prodotta dalla denutrizione, che devasta prima il corpo e poi il cervello), visitando manicomi, carceri, ricoveri, ospedali, brefotrofi, dove poté entrare grazie ai lasciapassare che ricevette dalle autorità governative dopo la salita al potere della Sinistra, dei cui esponenti (Nicotera, Zanardelli, Crispi) era stata un tempo compagna di lotte. «Nessuno straniero – scrive – immagina quali abissi di miserie e di degradazione esistano in Italia». Veniva dalla sinistra più radicale, ma si trovò alleata di quanti, provenendo dall’estremo opposto, erano giunti alle sue stesse conclusioni. «Per certe questioni – le scrisse Pasquale Villari, esponente della Destra storica e autore nel 1875 delle celebri Lettere meridionali – tutti gli onesti appartengono a un solo partito». 
 
 
 
Era questo il partito di Jessie White, una donna che non ricavò mai nessun vantaggio da ciò che aveva fatto e remò sempre controcorrente. Diciamolo pure: una figura da riscoprire e da indicare oggi ad esempio: non solo per il disinteresse personale, ma soprattutto per l’onestà e la rettitudine con cui operò nell’arco dell’intera vita. La riproponiamo perché Pierluigi Bagatin, già conosciuto per i suoi lavori su Alberto Mario, ha avuto la felice idea di raccogliere per la prima volta in un unico volume le sue cronache sociali, pubblicandole a Treviso, presso Antilia, con un’introduzione (un centinaio di pagine) che è una compiuta biografia di quest’inglese che amò l’Italia più degli stessi italiani. 
 
 
 
La sua prima inchiesta, apparsa prima sul giornale 'Il Pungolo' e poi in volume nel 1877, fu dedicata a Napoli. Perché? Perché 'in nessun paese d’Italia e d’oltralpe la miseria umana giunge al grado assoluto di quella di Napoli'. Per duecento pagine la White squaderna tutti gli orrori dei bassifondi napoletani: dai fondaci alle grotte fetide e buie trasformate in abitazioni, dalle locande ai postriboli, dalla promiscuità (tre quattro persone nello stesso giaciglio, tre quattro famiglie nella stessa stanza senza finestre) all’inimmaginabile sporcizia. E’ una discesa agli inferi che suscita anche oggi pena e vergogna. E non si limita a descrivere quel che vede. Interpreta, spiega, va a fondo. Il capitolo sui 'lazzaroni' e i 'galantuomini', cioè sui quartieri alti e su quelli bassi di Napoli, le due 'caste' impenetrabili l’una all’altra in cui si divide la popolazione, equivalgono a un trattato di antropologia sociale: «Sarebbe calunniare Napoli segnalandola con giudizio sommario più immorale delle altre grandi città; ma quando scendiamo fra i popolani nei quartieri bassi, non si esagera affermando totalmente ignota la nozione del bene e del male». Poi andò in Sicilia.
 
 
 
Discese nelle miniere di zolfo e denunciò lo scandalo dei carusi, i ragazzini di otto-dieci anni che lavoravano in condizioni disumane nelle miniere, trasportando in superficie, dall’alba al tramonto, sacchi di zolfo pesanti anche il doppio di loro. Piccoli schiavi sui quali si esercitavano violenze di ogni genere, destinati a morte precoce. Su questa vergogna nazionale si sbizzarrirono i grandi scrittori, con le novelle di Verga e Pirandello, ma la White non ha fatto letteratura, ha fatto giornalismo di denuncia, entrando lei stessa nel ventre delle miniere, parlando con quei ragazzi, raccontando come erano ridotti.
 
 
E questa Sicilia che distruggeva i propri giovani, neppure sapeva valorizzare le ricchezze di cui disponeva. L’Inghilterra, scrive, avrebbe potuto essere un florido mercato per i prodotti agricoli siciliani (vino, olio, mandorle, frutta, verdura) se fra le due isole ci fossero state linee di navigazione regolari e dirette. Mancando le quali, gli inglesi importavano più agevolmente dal Sud Africa o dal Canada. Le ultime due grandi inchieste della White qui riprodotte riguardano il sistema penitenziario e l’istituto dei brefotrofi, cioè i ricoveri dell’infanzia abbandonata. Lascia attoniti il dato statistico che ci riferisce: in un anno, alla Santissima Annunziata di Napoli, morirono 853 neonati su 856 ricevuti!
 
 
 
Oggi per nostra fortuna i brefotrofi non esistono più, ma le carceri ci sono ancora e fa male dover constatare che non sono gran che migliorate, fatte le debite proporzioni, rispetto a ciò che emerge da questa poderosa inchiesta di oltre un secolo fa. La White era inglese e, da buona britannica, un rimedio ai mali dell’Italia lo vedeva: il voto, il rinnovo della classe politica, il capovolgimento delle maggioranze, il varo di buone leggi. Ma in Italia, osserva, votare non serve: cambia l’apparenza, non la sostanza. Lo sapevano tutti: gli elettori che disertavano le urne e gli eletti che usavano a loro piacimento il mandato ricevuto. Di qui, commenta, 'disprezzo per le istituzioni parlamentari', il distacco fra la base e il vertice del paese, l’inerzia generale. Sembra l’Italia d’oggi, e invece era l’Italia di fine Ottocento.
 
Jessie White Mario
Le inchieste sociali
Antilia. Pagine 525. Euro 25,00
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: