domenica 19 giugno 2016
Prego, s’accomodi: l’intellettuale non è impegnato
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L’intellettuale francese, engagé in mille e una battaglia civile dall’alto della sua competenza culturale? Icona finita, anzi evaporata. Da realtà costruita a tavolino (tanto che la stessa parola 'intellettuale' venne coniata nel 1898 da un giornalista poi divenuto primo ministro, Georges Clemenceau, sul giornale L’Aurore per sostenere il J’accuse di Emile Zola sull’affaire Dreyfus), oggi, almeno in Francia, tale espressione indica soprattuto chi appartiene a quel circuito editorial-mediatico che si autoalimenta tra ospitate in televisioni, appelli e contro-appelli, voltafaccia ideologici e autoproduzioni commerciali.  L’accusa, molto circostanziata, ha fatto naturalmente molto discutere negli ultimi mesi in Francia ed è uscita dalla penna di Shlomo Sand, storico israeliano, già autore di un libro altrettanto provocatorio, L’invenzione del popolo ebraico, uscito in Italia per Rizzoli nel 2010. La tesi di Sand è la seguente, sostenuta lungo le 274 dense pagine di La fin de l’intellectuel français? De Zola à Houellebecq (La Découverte): tra fine Ottocento e inizio Novecento era nata la figura dell’intellettuale 'critico', ovvero personaggi che «davano l’impressione che la gente di lettere con grande talento lottasse contro l’ingiustizia e l’arbitrio. Sapendo che le persone istruite giocano un importante ruolo nella formazione dell’immaginario collettivo, la reputazione dell’intellettuale critico si è ampiamente diffusa». Sand fa risalire al celebre J’accuse di Emile Zola sulla vicenda antisemita del generale Dreyfus la nascita dell’intellettuale impegnato: «Questa vittoria è stata resa possibile dall’alleanza creata tra gli intellettuali dreyfusardi e la forza crescente in seno alle élites politiche: radicali e socialisti». Gli altri nomi che Sand offre come esempi di uomini di lettere impegnati sono Romain Rolland, Jean-Paul Sartre, Albert Camus, Pierre Bourdieu, Jacques Derrida, Michel Foucault, Jean-François Lyotard, Edgar Morin. En passant, Sand individua come la caratteristica francese, anzi, per lo più parigina, di intellettuale critico non sia esclusiva del panorama transalpino, visto che «anche le isole britanniche non hanno mancato di avere intellettuali critici nel fustigare i governi e nel contestare le basi dell’ordine esistente». E fa i nomi di George Bernard Shaw, di Herbert George Wells, di Wystan H. Auden, di Bertrand Russell e Harold Pinter. Tutta a sinistra dunque la cultura impegnata? Sand rintraccia in terra transalpina anche una linea che, risalendo da Alexandre Tocqueville, arriva a Raymond Aron e non ha sposato il marxismo ormai dominante nella Francia degli anni post-seconda guerra mondiale. È’ stata di Aron la celebre seguente affermazione: «Il comunismo è la prima religione di intellettuali che è riuscita ad imporsi». Ciò nonostante Sand non ha timore di mostrare come, sia in Francia sia in Germania, l’esperienza intellettuale engagé non è stata aliena da simpatie fasciste quando il nazismo è arrivato al potere e in ambito francese il regime di Vichy si schierò con Hitler: Hubert Beuve-Méry, uno dei fondatori e futuro direttore di Le Monde, da giovane aveva militato in movimenti di destra, mentre Paul Nizan ha fatto parte di compagini fasciste.  Sand rintraccia il momento storico in cui l’essere 'critico' non è più stata una questione di essere di sinistra: siamo negli anni Settanta, lo tsunami Solgenitzin apre gli occhi a molti su cosa sia realmente l’Unione sovietica, i nouveaux philosophessi convertono dal maoismo alla difesa dei diritti umani (André Glucksmann, Bernard Henry Levy, e altri), nasce la Fondazione Saint Simon – capitanata da François Furet, con al suo interno persone come Jean Daniel – con un obiettivo: «Attaccare la sinistra marxista, che senza esserne cosciente aveva già iniziato il suo declino storico». Infine Sand diagnostica la caduta definitiva della figura, per lui onorevole, dell’intellettuale critico: la fase attuale in cui i mass media fagocitano e rendono gli uomini di cultura (eccetto qualche bordata polemica contro Julia Kristeva, Sand parla quasi esclusivamente di intellettuali al maschile…) degli strumenti per la propria auto-alimentazione commerciale. Ecco allora Michel Houellebecq diventare turiferaio di un’islamofobia pericolosa, secondo Sand (israeliano ma tutt’altro che sionista); critiche ce ne sono anche per Alain Finkelkraut il quale – insieme a Levy e Pascal Bruckner – secondo Sand «incarna perfettamente il nuovo apporto di forza tra i padroni della comunicazione e i firmatari della parola». Per poi giungere all’epitaffio definitivo: il J’accuse di Houellebecq contro Hollande sulla questione-immigrazione araba, se paragonato a quello di Zola sulla vicenda Dreyfus, fa dire a Sand: «Tutto quello che aveva fatto la nobiltà dell’intellettuale francese sembra essere definitivamente evaporato». Orbene, se la cavalcata storica lungo le vicende della cultura francese compiuta da Sand ha certamente il pregio di non avere timori reverenziali per nessuno, va però segnalata una mancanza colossale nella diagnosi della cultura francese dall’Ottocento ai giorni nostri: Sand tralascia completamente la presenza della cultura cattolica e dei suoi esponenti in quella che, non a caso, per secoli è stata definita la «figlia maggiore della Chiesa». Trascurare cosa hanno apportato alla società francese (e di rimando a quella europea) figure come Charles Péguy, Paul Claudel, George Bernanos, François Mauriac, Jacques Maritain (suo fu uno 'zampino' importante nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite), ma anche uomini di teologia come Henri De Lubac, Yves Congar, Michel De Certeau, uomini del dialogo con l’islam come Louis Massignon… è veramente grave. Forse in ciò gioca una certa ignoranza di questo filone cattolico da parte di uno storico affermato come Sand, docente di storia contemporanea all’Università di Tel Aviv. Forse la tanto praticata laicité fa prendere abbagli del genere: non si vedono le cose che non si vogliono vedere. Eppure qualche anno fa in Francia uscì un tomo molto significativo,  La conversione des intellectuels au catholicisme en France (1885-1935), per le edizioni del Cnrs (non editoria cattolica, dunque), a firma del storico Frédéric Gugelot. Sarebbe bastato dargli un’occhiata per vedere che proprio negli anni in cui nasce la figura dell’intellettuale critico, si afferma in Francia «un fenomeno collettivo senza precedenti che sconvolge il mondo dell’arte e del pensiero: la conversione di intellettuali al cattolicesimo». Diverse decine sono queste conversioni, tra poeti (Max Jacob e Jean Cocteau), letterati ( Jacques Rivière), romanzieri (Paul Bourget), il già citato Maritain, solo per fare qualche esempio. E nei nostri giorni quella tradizione è tutt’altro che scomparsa se si pensa a figure come (defunti da poco) René Remond, René Girard, e poi ancora Jean D’Ormesson, Jean Dulumeau, Jean-Claude Guillebaud, Jean-Louis Chrétien, Philippe Nemo, Marcel Bellet, Fabrice Hadjadj, Maurice Dantec, François Taillandier, Sylvie Germain. Tutti nomi che Sand nemmeno prende in considerazione. Insomma, in riva alla Senna l’intellettuale non è proprio finito…
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