mercoledì 29 giugno 2016
Il fumetto di Bud, una favola buona per tutti
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Carlo Pedersoli ha avuto una vita molto pie na, tra sport e cinema, canzone e televisione, e ha imposto o ripreso un personaggio con i piedi nella tradizione: il gigante buono, l’omone manesco ma dal cuor d’oro. Grande nuotatore, campione nella pallanuoto, Pedersoli/ Spencer è stato in cinema una figura vicina a quelle create negli anni Trenta e Quaranta a Hollywood da Wallace Beery, attore oggi dimenticato che fu, tra l’altro, Pancho Villa in un celebre film sulla rivoluzione messicana. Sposò la figlia di un produttore napoletano proverbiale (che produsse per Fellini La dolce vita) e questo lo aveva accostato al mondo del cinema. La sua fortuna era nata dall’amicizia con un produttore- regista, Tonino Cervi, che lo volle in un bizzarro western-spaghetti come rivale nientemeno che di Tatsuya Nakadai, grande interprete di film di samurai. Fu però la coppia con Terence Hill (al secolo Mario Girotti) in un film ideato da un direttore della fotografia (anche di film di Leone), Enzo Barboni, pacioso e auto-ironico, che si firmò con un nome pseudo-Usa come andava di moda, E. B. Clucher, a imporlo alle masse degli spettatori più “infantili”, stanchi degli western troppo ieratici o troppo seriosi o troppo inutilmente violenti dei nostri registi. Era Lo chiamavano Trinità, e la coppia del grosso e dello smilzo ne faceva di tutti i colori, in chiave comica ma “buonista”. I due, che in privato non si frequentarono molto, comparvero in una serie di film per i quali gli sceneggiatori italiani inventarono gag e storielle che finivano bene, fumetti avventurosi divertenti, mai trucidi, che rubavano situazioni e idee alle strisce di Tex e affini. Film che potevano piacere anche ai bambini come, il più famoso di tutti, Anche gli angeli mangiano fagioli, dove Terence Hill fu egregiamente sostituito da Giuliano Gemma. Pedersoli/Spencer fece più tardi anche qualche film serio, il più serio di tutti per Olmi, Cantando dietro i paraventi, una bizzarria favolosa e morale, ma non era un attore di molti mezzi, piuttosto una maschera, nella tradizione lontana dei Paladini di Francia e del Guerin Meschino, e con qualcosa di Rabelais e del Morgante di Pulci.  La cultura di massa ha fornito nell’Italia del miracolo economico, quando i contadini si inurbavano portandosi dietro ancora per un po’ i loro miti e i loro eroi, modelli facilmente riciclabili, avventure dove si opponeva l’abbondanza di muscoli o l’astuzia dei piccoli alla forza dei potenti e alle armi di cui disponeva. Come nei film più rozzi di Ercole e Maciste, difensori dei poveri, degli umili, degli oppressi, la coppia Spencer-Hill, mutuata dal cinema e dal fumetto per bambini e adolescenti, ammorbidì la violenza spaccona degli westernspaghetti, la riportò al terreno familiare del gioco e della finzione, della fiaba. Che poi nella vita Terence Hill – si diceva nell’ambiente – non fosse molto simpatico, e che Bud Spencer fosse un uomo di destra, contava poco e lo sapevano in pochi. Importò mai a qualcuno sapere del carattere e delle idee di Stan Laurel e Oliver Hardy, nel loro privato?
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