martedì 18 ottobre 2016
I dieci "orrori" grammaticali più diffusi fra gli studenti italiani
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Per carità, non chiamatele parole fashion. Al massimo parole alla moda. Troppo alla moda. Cool, feedback, know how o appunto fashion appartengono a quella serie di vocaboli che piacciono. Anche in maniera eccessiva. Tutti li usano e vengono considerati trendy (tanto per ricorrere a un aggettivo molto popolare). «Eppure affidarci a questi anglicismi di cui la nostra lingua non sente l’esigenza è un po’ come vestirsi tutti allo stesso modo: si rischia l’omologazione e l’effetto è un livellamento verso il basso», sostiene Valeria Della Valle, già docente di linguistica italiana all’università La Sapienza di Roma.

 

La studiosa sarà una delle ospiti della Giornata Pro Grammatica che mercoledì 19 ottobre va in onda su Rai Radio 3 (con l’hashtag #giornataprogrammatica). Al centro della maratona radiofonica a sostegno del bell’italiano – realizzata dal programma La lingua batte assieme al ministero dell’Istruzione e in collaborazione con la Farnesina, l’Accademia della Crusca e l’Associazione per la storia della lingua italiana – il tema della Settimana della lingua italiana nel mondo (17-23 ottobre): “l’italiano e la creatività” fra marchi, costumi, moda e design.

Ecco allora che è possibile stilare una sorta di classifica delle parole (e degli errori) alla moda ma anche di quelle fuori moda. Partiamo dagli strafalcioni più di “tendenza” fra gli studenti della Penisola. Secondo il portale skuola.net che ha interrogato 6mila ragazzi delle medie, delle superiori e delle università, il primo “orrore grammaticale” – come viene definito dal sito – è aereoporto: il 57% non sa che si scrive aeroporto. Poi c’è qualcun’altro con l’apostrofo (che invece non ci vuole) in cui scivola il 41% dei giovani e, sempre a proposito di apostrofi sbagliati, qual’è che inganna il 25% degli intervistati. Altrettanto diffusi sufficente senza la “i” (23%), un pò con l’accento (21%), sono stato studiato (21%), dasse per indicare il congiuntivo del verbo “dare” (20%). «Grazie al cielo – osserva il direttore del sito, Daniele Grassucci, che anticipa i risultati dell’indagine promossa per la Giornata Pro Grammatica – ci sono anche questioni su cui quasi tutti non hanno dubbi: il 98% dei ragazzi sa benissimo che non si dice a me mi piace. Inoltre a molti sta a cuore che qualche neologismo entri nei vocabolari: al primo posto c’è spoilerare, dall’inglese “spoil” che vuol dire rovinare nel senso di anticipare il finale di un film o un libro. Quindi piacciono petaloso, apericena, whatsappare e ciaone».

Occhio, però, a non esagerare con i termini di stampo anglosassone. «La loro forza di suggestione non accenna a diminuire – sottolinea Della Valle –. Ma parlerei di abuso quando una parola inglese ha il corrispettivo italiano: penso a look o manager. Abbiamo la possibilità di usare “aspetto” o “dirigente”». Poi la docente cita un altro caso. «Un vocabolo molto in voga ma utilizzato a sproposito è problematica al posto di “problema”. Anche un intoppo nel traffico diventa una problematica. Il ricorso a parole altolocate nasconde la volontà di apparire più colti. Invece la semplicità è una grande virtù». E impazza anche il piuttosto che impiegato alla stregua della congiunzione disgiuntiva “o”. «È di gran moda, ma è un errore – avverte la linguista –. Come se questo svarione rendesse il discorso più elegante e raffinato».

 

Fanno da contraltare le parole fuori moda (saranno presentate anche su Radio 3 con l’hashtag #parolefuorimoda). Lapalissiano (che sta per evidente), pleonastico (ridondante), bislacco (chi si comporta in modo strano) compongono quel dizionario che rischia di essere dimenticato. «Quando ai miei studenti dicevo di aver fatto loro un fervorino – racconta Della Valle – mi guardavano con circospezione perché non sapevano che cosa fosse. Non si tratta di essere nostalgici. Serve piuttosto un guizzo di maggiore originalità che passa anche dalle parole con cui conversiamo e scriviamo».

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