mercoledì 27 aprile 2016
Chi ha tradito GERONIMO?
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Tutto comincia nell’estate 1905 con una lettera al presidente  Teodoro Roosevelt da parte di un sovrintendente scolastico dell’Oklahoma, Stephen Melvil Barrett. L’anno prima Barrett aveva aiutato Geronimo, il grande capo apache, nelle trattative per vendere un copricapo da guerra facendogli da traduttore. Con quel gesto ne aveva guadagnato la stima e la promessa di poter raccogliere la storia della sua vita. Dal 1886 il vecchio guerriero era prigioniero e viveva nella riserva militare di Fort Sill in Oklahoma, a centinaia di km dai territori dell’Arizona nei quali era vissuto, aveva combattuto gli yankee e i messicani ed era stato sconfitto. Geronimo era nato nel 1829 e aveva più di 80 anni. Eppure, per quanto sottomesso, era ancora considerato un pericolo dal Dipartimento federale della Guerra, che aveva rifiutato il permesso a pubblicare la biografia. Barrett decide allora di aggirare l’ostacolo e scrive al presidente Usa. Perora la causa di Geronimo sottolineando che «al vecchio capo indiano non è mai stata offerta l’opportunità di narrare la propria versione dei fatti». Quindi, consapevole dei rischi di una simile impresa, chiede garanzie che l’eventuale pubblicazione «non avrebbe influito in maniera negativa sul destino degli altri prigionieri apache». La risposta del presidente è positiva. In cambio Roosevelt chiede di leggere il manoscritto prima della pubblicazione e consiglia Barrett di dissociarsi per iscritto da ogni affermazione di Geronimo che risultasse controproducente per gli interessi del Paese od offensiva per qualcuno dei personaggi citati. Il Dipartimento della Difesa si era premurato di indicare i «passaggi delicati» da non pubblicare. Ma col consiglio del presidente e facendo parlare Geronimo in prima persona, Barrett aggira anche questo ostacolo. Così oggi che Geronimo. Storia della mia vita. Autobiografia di un guerriero viene pubblicato per la prima volta in Italia (Piano B, pp. 172, euro 13) è interessante cercare i passaggi segnati dall’annotazione «queste sono le esatte parole di Geronimo per le quali il curatore di questo libro declina ogni responsabilità», per capire quali avvenimenti il Dipartimento voleva celare. Ma non è il solo modo in cui il curatore aggira i niet del Dipartimento. Qua e là, infatti, fa riferimento a colloqui chiarificatori con l’ex governatore dell’Arizona Louis Cameron Hughes (1842-1915) e a suoi articoli sull’Arizona Daily Star di Tucson, del quale era stato editore e direttore. In particolare i testi di Hughes servono a Barrett per confermare due azioni determinanti dell’esercito americano contro gli apache, che Geronimo definisce «tradimento » di precedenti accordi. La prima risale alla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento. Fra indiani, minatori e soldati è guerra aperta: «Alcuni ufficiali invitarono i nostri capi a tenere un convegno ad Apache Pass (Fort Bowie)... Gli indiani furono fatti entrare in una tenda dicendo che avrebbero portato loro qualcosa da mangiare. Quando si trovarono dentro furono aggrediti dai soldati. Il nostro capo Mangas Coloradas e altri guerrieri tagliarono la tenda e scapparono, ma la maggior parte furono uccisi o fatti prigionieri». Hughes conferma parola per parola e sottolinea che l’esercito aveva proposto a Mangas Coloradas e Cochise un trattato di pace, «invece tutti furono portati in una tenda e ammanettati». Il secondo episodio è del 1863. Mangas è anziano e stremato. Ad Apache Tejo, nel Nuovo Messico, riceve una proposta di pace: se condurrà il suo popolo a vivere nei pressi della città riceverà cibo, vestiario e pace. Mangas riunisce il consiglio della tribù, ma il consenso non è unanime. Una parte lo segue ad Apache Tejo, l’altra, guidata da Geronimo, resta in Arizona in attesa di conferme. L’attesa è vana e per Geronimo e i suoi, braccati dall’esercito, iniziano anni di vagabondaggio e uccisioni, ma anche nuovi tentativi di pace. Per raccontare la morte a tradimento di Mangas Coloradas, Barrett si affida alla penna di Hughes: «Il vecchio capo era d’accordo a fare la pace. Quando arrivò al campo il generale West ordinò che fosse messo in carcere». La notte stessa fu ucciso: «Qualcuno fece cadere dalla finestra una pietra che lo colpì. Egli saltò in piedi (era alto più di due metri)... le guardie credettero che stesse scappando e furono in molti a sparargli... Un chirurgo recise la testa e ne estrasse il cervello che venne pesato». Constatato che il peso corrispondeva a quello del cervello di un 'padre dell’Unione' come Daniel Webster, «il teschio venne spedito a Washington ed esposto allo Smithsonian».  Quando molti anni dopo anche Geronimo si arrende, gli viene riservato un trattamento ancora più ambiguo. L’accordo prevede il trasferimento in Oklahoma, ma con la promessa di terre da coltivare. In realtà gli indiani vengono costretti a lavorare per conto dell’esercito e le terre arrivano in parte, ma molti anni dopo. Geronimo viene usato come attrazione da baraccone alle esposizioni di Omaha (1899), Buffalo (1901) e a quella universale di St. Louis (1904). Le descrizioni che lui stesso fa di quest’ultima fanno ben comprendere la sprovvedutezza di un simile uomo di fronte alla ricchezza e alla tecnica del mondo evoluto.  Il penultimo capitolo è dedicato alla religione. Convertito al cristianesimo (Chiesa riformata olandese), Geronimo detta a Barrett: «Ho consigliato a tutta la mia gente di studiare questa religione perché mi sembra che sia la migliore per vivere una vita giusta».
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