martedì 14 febbraio 2012
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«Q​uesto saggio termine, "sussidiarietà", rimane inadempiuto, anche se lo si ripete senza sosta come un mantra». Oggetto, l’Unione europea, schiacciata sotto una burocrazia letteralmente pachidermica: nel 2005 il Giornale ufficiale dell’Ue pesava oltre una tonnellata, ovvero quanto un giovane rinoceronte. L’ultima edizione di tale documento, in lingua francese, era costituita da qualcosa come 62 milioni di parole. Il j’accuse non proviene da qualche politologo o filosofo cristiano (men che meno cattolico, sebbene la sussidiarietà sia uno dei capi saldi della Dottrina sociale della Chiesa), ma da un intellettuale "laico" qual è lo scrittore Hans Magnus Enzensberger: in un’intervista a Der Spiegel di qualche tempo fa considerava ancora «utilizzabile l’officina del signor Marx»; un suo ex docente di università, gesuita, lo invitò a studiare Marx per confutarlo meglio. Ed è dunque ancor più singolare il fatto che tocchi proprio al celebre poeta e saggista tedesco scandagliare e mettere il dito nella piaga di un’Europa che non funziona, che ha perso la sua vocazione iniziale, che sembra affossata in una distanza cittadini-istituzioni colmata da un deficit democratico che pare insanabile. «A differenza del classico stato di diritto, il regime dell’Unione europea non conosce una vera separazione dei poteri – recita uno degli esempi portati dall’autore di Nel labirinto dell’intelligenza (Einaudi) –. La Commissione ha praticamente il monopolio delle iniziative. Senza poterlo provare, possiamo supporre che i lobbisti attivi a Bruxelles abbiano più influenza sulle decisioni della Commissione di tutti i deputati». Il grido d’allarme di Enzensberger (appena pubblicato in Francia da Gallimard, Le deux monstre de Bruxelles ou L’Europe sous tutelle è alquanto preciso e provocatorio allorché denuncia «la tendenza a controllare e mettere tutto sotto tutela» da parte di una Commissione non eletta. Esempi di questo deficit? Per l’intellettuale mitteleuropeo sono diversi: «Il parlamento non può decidere del budget se non in accordo con il Consiglio europeo. Un solo rappresentante del Consiglio può bloccare le decisioni del Parlamento. La classica regola del no taxation without representation viene di fatto abolita». Non c’è da stupirsi che, di fronte a questo inverno democratico, i popoli europei si ritraggano rispetto all’originario anelito di unità del Vecchio Continente, uscito sanguinante da due conflitti fratricidi: «Dalle prime elezioni del 1979, la partecipazione elettorale non smette di scendere, l’ultima volta si è fermata al 43%; i 9 referendum avvenuti in altrettanti Paesi hanno sempre presentato il "no" popolare all’Europa». In tempi di discussioni sui costi della politica e della pubblica amministrazione, un dato deve far riflettere, tra i tanti contenuti in questo agile e spigliato saggio: «Nel 1975 c’erano due agenzie comunitarie, oggi se ne contano almeno 36 e altre sono ancora in fase di costruzione». Col piglio del cronista Enzensberger arriva a farsi una domanda semplice semplice: quanti sono i dipendenti dell’Ue? Le cifre oscillano tra 15 e 40 mila: nessuno lo sa! E il pamphlet cerca di individuare i mali reconditi di un’Unione che non funziona, che si interessa di più della circonferenza delle banane e della misura delle protesi dentarie rispetto alla vera politica. Tra le righe, l’intellettuale e critico letterario fa balenare anche uno dei peccati d’origine di quest’Europa senza più un’anima: «L’immobile dove ha sede la Commissione apparteneva fino al 1960 alle Dame di Berlaymont, una comunità religiosa che vi gestiva un pensionato per ragazze. Sotto la pressione amministrativa, quindi dello Stato belga, queste religiose furono costrette a rifugiarsi a Waterloo. Il quartiere dell’Europa si è dunque impiantato come un corpo estraneo nella capitale belga». Insomma, se non compie un richiamo esplicito alle radici cristiane dell’Europa, di certo Enzensberger non condivide questa ipertrofia amministrativa e questo "autismo burocratico" che partendo da Bruxelles sta attanagliando un’Europa alla quale si sta aggiungendo un 28° Paese, la Croazia. E il Nostro fa eco alla grande filosofa Hannah Arendt per mettere in guardia il Continente unito (sulla carta): era l’autrice di La banalità del male ad ammonire circa la «pressione di una modificazione che si insinua in tutti i regimi politici che evolvono verso le burocrazie, ovvero verso il regno non delle leggi né degli uomini ma degli uffici anonimi e di computer». Tale distanza e tirannia burocratica, allertava la Arendt (e Enzensberger pare non abbia paura di passare per conservatore nell’applicarlo all’Europa odierna), «potrebbe essere più pericolosa, per la libertà e per quel minimo di civiltà senza la quale non è immaginabile una vita comune, dell’arbitrio più rivoltante dei tiranni passati».
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