lunedì 29 agosto 2016
ESERCIZI La palestra del mistero cristiano
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Anticipazione.  Un volume raccoglie le meditazioni del cardinale Carlo Maria Martini sui Vangeli. Un itinerario che il grande biblista delinea come viatico per i nuovi catecumeni  L’esperienza può essere anche comunicata, presentandone il risultato finale, e in quel caso, allora, potrei anche leggere il titolo di qualcuno degli opuscoli che sono stati pubblicati dal Centro Ignaziano di Spiritualità. Incomincerò a raccontare come per la prima volta mi sia trovato a impostare gli esercizi non partendo direttamente dal testo di sant’Ignazio – come ho fatto per molti anni, seguendolo in maniera rigorosa e fedele – ma piuttosto prendendo un singolo Vangelo. Da ciò cercherò di trarre qualche indicazione sul come questa esperienza, o sul perché essa si è svolta, e quindi quali possano essere i suggerimenti che se ne possono trarre.  Non potevo seguire l’itinerario materiale degli Esercizi perché avrei creato, fin dall’inizio, un senso di rigetto. D’altra parte non ho voluto neanche affrontare quella che si può chiamare una “trasposizione tematica” degli Esercizi di sant’Ignazio con temi biblici. Questo è sempre possibile farlo. È sempre possibile cioè prendere una per una le grandi meditazioni  ignaziane e dare per ciascuna una serie di testi biblici con cui possono essere riformulate. Non ho voluto seguire questo metodo, perché non vi vedevo abbastanza utilizzata quella dinamica che è propria di parecchi libri della Scrittura. Non so il perché, ma mi sono sentito portato a proporre un altro tipo di esperienza. Siccome era ovvio che a questo gruppo avrei proposto qualcosa della Scrittura – sono le realtà che ho più facilmente in mano, e in particolare i Vangeli – mi sono deciso per una loro lettura continua. Avrei potuto seguire, per esempio, il metodo seguente: commentare un Vangelo facendone una lettura integrale e indicando via via, capitolo per capitolo, quei particolari momenti del testo che richiamano un itinerario di esercizi. Questo è anche possibile e lo si può realizzare senz’altro in determinate situazioni. Io mi sono trovato in una situazione diversa. Avevo di fronte a me un problema di crisi. Riflettendo sul significato di questa situazione, a un certo momento ho potuto vederla concretizzata in quel versetto del Vangelo di Marco, dove è detto: «A voi è stato dato il mistero del Regno di Dio, ma a quelli che sono fuori tutto è proposto in parabole» (Mc 4,11). Esso mi è sembrato – leggendolo in quella concreta situazione – uno dei versetti chiave per intendere la dinamica del Vangelo di Marco. Esiste la condizione di chi è al di fuori – anche se crede di essere al di dentro – del mistero del Regno. E allora «tutto gli appare in parabole»; cioè tutto è colto attraverso figure, segni, riti, sacramenti, processioni, situazioni esteriori che egli riproduce nella sua vita, perché gli sono state proposte dalla tradizione, ma con un senso di estraneità, con un senso di non autenticità. Esiste al contrario una situazione nella quale il Regno viene dato, cioè si entra a contatto diretto, autentico con il mistero del Signore. Il passaggio dall’essere al di fuori – e quindi dal guardare il Regno con quella estraneità diffidente da cui, poi, nasceva in questo gruppo una forte critica alla Chiesa istituzionale, un forte disagio verso tutto ciò che era struttura diocesana, parrocchiale ecc. – il passaggio, dico, dal di fuori al di dentro, dalla parabola alla realtà dell’incontro con il Signore: ecco una dinamica che mi veniva offerta dal Vangelo di Marco, che mi pareva corrispondere alla situazione concreta del gruppo. E allora mi sono detto: leggo e rileggo attentamente il Vangelo di Marco, cercando di vedere come in esso un uomo che si trova al di fuori – anche se è a contatto con la situazione ecclesiale, cioè ancora nel momento della prima indagine – viene portato al di dentro, cioè nell’immediata presenzialità del mistero del Signore. Mi sono detto: una tale situazione mi sembra tipica di quella per cui il Vangelo di Marco è stato scritto. E questo ho proposto a me stesso come ipotesi di lavoro da verificare nella esposizione delle singole meditazioni: Marco come Vangelo del catecumeno.  Cioè, Vangelo che prende l’uomo ai limiti, alla soglia del mistero cristiano, ancora preso da tutta la sua mondanità, ma desideroso di entrare; incapace di conoscere il significato delle parabole, cioè delle figure, delle forme esteriori religiose che gli vengono proposte, ma desideroso di fare il salto, di entrare dentro al mistero cristiano. Ed ecco che quando uno si prospetta, in questa maniera, la lettura del Vangelo, allora ritorna molto facile il paragone con il libro degli Esercizi che sono, appunto, un itinerario che, prendendo l’esercitante da un determinato punto di partenza, attraverso una serie di tappe successive, lo conduce a un punto di arrivo che sarà sempre l’elezione o la conformità con il Cristo nella scelta fatta dello stato di vita ecc. E ciò a seconda dei modi con cui si descrive questo itinerario finale, questa conformazione con il mistero.  La lettura di Marco mi mostrava la strada da percorrere insieme con questo gruppo. Scoprire l’itinerario del catecumeno nel Vangelo di Marco, i punti di partenza, le tappe successive, il punto di arrivo, per paragonarli con la propria esperienza. Leggere, quindi, la propria esperienza e ripeterla seguendo le tappe, le piste che il Vangelo di Marco propone. Naturalmente in questa lettura dovevo tenere conto continuamente della corrispondenza tra il punto di partenza, le diverse tappe e il punto di arrivo degli Esercizi. Ed è così che, senza cercarlo astrattamente o artificialmente, mi accorgevo che nel determinare i punti di partenza, le tappe successive e il punto di arrivo, mi riportavo molto facilmente ai momenti dell’itinerario degli Esercizi. Essi, infatti, rappresentano un fondamentale itinerario cristiano che quindi, in maniera analoga, con diversa proporziona-lità, riproduce l’insieme delle situazioni nelre, quali un uomo cerca di avvicinarsi da una condizione periferica al centro del mistero del Signore.  Ecco dunque qui tracciato il programma per un tentativo di dirigere l’esercitante a compiere il suo cammino, dandogli come manuale il manuale del catecumeno. Qual è il punto di partenza del gruppo di catecumeni a cui veniva proposto il Vangelo di Marco come itinerario battesimale? Come fare per determinare questo punto di partenza? È chiaro che non lo si trova espresso direttamente nel Vangelo, perché esso non è, appunto, un manuale astratto, ma piuttosto un vademecum che guida, che accompagna per mano; che non presenta cioè un itinerario già teoreticamente costruito secondo criteri, appunto, di tipo astratto. Allora, il primo compito era quello di leggere dentro alle pagine del Vangelo di Marco la situazione del punto di partenza dei catecumeni per il loro itinerario e confrontarla con quella del nostro gruppo. Tra i modi possibili, ho scelto quello di cercare nel Vangelo di Marco i rimproveri di Gesù; cioè, ciò che Gesù afferma che “non bisogna essere”. Attraverso questi rimproveri, io colgo di rimbalzo quello che coloro i quali incominciano il proprio itinerario catecumenale, in realtà sono; la situazione che questa gente è invitata a lasciare. E allora, ecco che propongo una lettura di tutti i numerosi rimproveri che Gesù fa nei riguardi dell’ignoranzadei discepoli: «non comprendete», «state attenti a questo, udite», «come mai non avete ancora fede», «non avete compreso niente riguardo ai pani», «il loro cuore restava indurito, non capirono quel parlare»; tutte citazioni che prendo da Marco a partire da 4,40; 6,6; 6,52; 9,32 ecc.  In questa lettura confrontata con la situazione dell’esercitante, egli deve giungere a dire «dunque, anche io incomincio questo itinerario lasciandomi redarguire, ammonire dalla Parola di Gesù e riconoscendo che sono molto ignorante rispetto al mistero del Regno di Dio». Cioè che «questo mio atteggiamento di delusione, di disfattismo, di critica amara è probabilmente il risultato di una incomprensione del mistero del Regno. Sono anche io col cuore indurito».  Ecco, quindi il primo atteggiamento da suscitare nell’esercitante. Vi accorgerete che qui siamo nel clima della prima settimana. Se ora vogliamo specificare il significato di questo atteggiamento, leggiamo altri rimproveri fatti da Gesù nel Vangelo di Marco, per esempio, nelle controversie del cap. 2. Mc 2,25: «non avete letto quello che faceva Davide, quando si trovò nella necessità ed ebbe fame lui e i suoi compagni?» Oppure Mc 3,5: «volgendo lo sguardo con sdegno sopra di loro, rattristato per la durezza del loro cuore, Gesù disse a quell’uomo: “stendi la mano”».  Cioè dalla raccolta dei passi in cui Gesù redarguisce l’ignoranza del discepolo – e quindi fa capire all’esercitante: “se accetti la Parola di Dio incomincia questo itinerario col riconoscere di saperne ben poco e di dover incominciare ad imparare” –, si giunge a specificazioni tematiche più particolari, rimproveri concreti che Gesù fa; rimproveri concreti, quindi, fatti alla comunità di Marco, rimproveri concreti fatti al catecumeno che inizia il cammino e perciò da tradursi in rimproveri concreti fatti alla persona la quale presume di conoscere molto del mistero del Regno di Dio, ma che in realtà si trova non autentico e carente sotto molti punti di vista. Ne nasce una meditazione su quella che è la propria situazione di inautenticità rispetto al mistero del Regno di Dio; l’ignoranza della vera libertà dei figli di Dio – redarguita in Mc 2,25 –; la paura di esporsi veramente per il Regno, e quindi un senso continuo di doversi guardare, di cautelarsi, mai compromettersi veramente – Mc 3,5, poi Mc 3,21; 8,35 –, e soprattutto, andando più all’interno di sé, «il cuore malato», «la situazione del cuore dal quale può uscire qualunque miseria e qualunque degradazione»: Mc 7,21-23. Attraverso questi vari episodi proposti all’esercitante mi sembrava che fosse possibile portarlo a una riflessione del tipo di prima settimana, cioè: chi sono io, qual è la mia situazione, in che maniera io mi sento come il catecumeno che inizia il suo lavoro: confuso, bisognoso di autenticità, incapace a vivere rettamente la mia vita nella Chiesa, inesperto e goffo di fronte al mistero del Regno e quindi incapace di accoglierlo. Ecco quindi determinato in qualche modo il punto di partenza. Ma in quel momento cosa mi è avvenuto? Mi sono accorto che gli esercitanti coglievano bene il punto di partenza e la loro situazione di inautenticità; mancavano tuttavia – mi sembrava – di quel senso della riverenza del mistero di Dio e della dedizione alla preghiera che è supposto nell’annotazione quinta e nel Principio e Fondamento.  Ecco come, nel condurre l’esperienza, non solo mi paragonavo continuamente con la condizione delle persone che erano davanti, ma anche confrontavo l’esperienza di queste persone con il libro degli Esercizi. Allora mi è sembrato che, in quella situazione, dovesse intervenire a quel punto una riflessione che senza ripetere la linea del Principio e Fondamento – che già conoscevano a memoria e dal quale non avrebbero tratto molto – e senza ripetere l’esortazione a mettere in pratica l’annotazione quinta cioè “la liberalità verso il Signore e Creatore” e l’annotazione terza sulla “maggiore riverenza negli atti di volontà rispetto a quelli dell’intelletto”, presentasse loro il senso di Dio tipico di sant’Ignazio. Senza proporre queste cose in maniera tematica ci si poteva chiedere: qual era il senso della riverenza del mistero divino, quel senso iniziale del rapporto con Dio che si supponeva nel catecumeno che iniziava l’itinerario del Vangelo di Marco? Ecco una domanda successiva alla quale si può rispondere a partire dal Vangelo di Marco stesso. Vedere cioè come Marco parla di Dio al catecumeno. E da qui, ecco una serie di indicazioni. Intanto Marco ne parla poco. Il senso di Dio è un mistero proposto non solo attraverso parole, ma anche attraverso il silenzio, attraverso la riverenza, l’adorazione. Quando ne parla, ne parla con alcune indicazioni che ci fanno percepire da una parte il Dio creatole l’essere dal quale dipendiamo completamente, dall’altra la sua presenza tra noi: “viene il Regno di Dio”; e in terzo luogo il suo mistero inafferrabile. Quel Dio che dopo esserci venuto incontro, al momento buono sembra abbandonarci. Dalla semplice rassegna dei passi di Marco in cui si parla di Dio – sono una quindicina – si possono trarre gli elementi fondamentali da cogliere, per aiutare gli esercitanti a mettersi di fronte a questo mistero con riverenza e con attesa. Siamo di fronte a quel Dio il quale non solo ci possiede, ma ci può sorprendere. Ci si può quindi esercitare nella preghiera per raggiungere quella condizione che si chiede al catecumeno per iniziare questo cammino. E in questo momento, può iniziare l’itinerario positivo. Qual è, ancora una volta, il riferimento di partenza? È quello che viene descritto, mi sembra, soprattutto nei capp. 1 e 2 attraverso la “chiamata dei discepoli”, “le prime guarigioni”, “i primi miracoli di Gesù”. Attraverso la lettura di questi passi, la Chiesa primitiva faceva prendere coscienza al catecumeno che c’è una chiamata di Gesù per lui, che si attua concretamente in un rapporto diretto con il Signore il quale lo chiama a una conversione. Si esplicita dunque maggiormente il primo passo che l’esercitante deve compiere. Qui, se è necessario – e mi pareva necessario in quella situazione – sulla base del Vangelo di Marco stesso può essere interessante analizzare quali sono gli aspetti di questa conversione.  Prima di tutto una conversione morale, cioè un cambiamento di atteggiamento etico. Così abbiamo in Mc 7,21-22 la conversione morale; in Mc 7,23 la conversione del cuore dal di dentro capace quindi di cambiare l’uomo in quella che è la radice delle sue azioni; in Mc 1,15 la conversione che non si attua attraverso lo sforzo proprio, ma abbandonandosi all’azione di Dio in Gesù: “Credete al Vangelo!”; e quindi, avendo accettato di abbandonarsi all’azione di Dio, accogliere, almeno in maniera indistinta e generica, la sequela di colui che può compiere grandi opere di potenza.
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