giovedì 30 giugno 2016
Carlo Conti è l’uomo su cui punta la nuova Rai del direttore generale Campo Dall’Orto che al conduttore, autore e direttore artistico di Sanremo ha anche affidato la direzione artistica di tutta Radio Rai.
Direttor Conti: «La mia RadioRai»
COMMENTA E CONDIVIDI
«Mi aspetta un anno intenso, come tutti gli anni da un po’ di tempo a questa parte. Alla base di tutto c’è l’impegno, ma vissuto con leggerezza». Carlo Conti è l’uomo su cui punta la nuova Rai del direttore generale Campo Dall’Orto che al conduttore, autore e direttore artistico di Sanremo non solo ha allungato il contratto sino al giugno 2019, ma ha anche affidato la direzione artistica di tutta Radio Rai, creando una nuova figura ad hoc. Prima di partire per le ferie con la famiglia, «una ricarica necessaria», e prima di affrontare il tour teatrale con gli amici Panariello e Pieraccioni al via il 3 settembre da Ancona. Conti spiega i suoi progetti ad Avvenire. Cosa cambia nei suoi impegni fra radio e tv? «Con questo rinnovo, il contratto è esattamente uguale a quello che avevo già, né un euro di più né un euro di meno. Resto autore di programmi, continuo la direzione artistica di Sanremo, che vedrà qualche sorpresa nel regolamento, farò ancora Sanremo Giovani dal primo sabato di dicembre, dal 16 settembre torno con Tale e quale show che avrà anche uno speciale sui canti natalizi, Na-Tale e quale show. L’unica variante sarà che, nello stesso periodo, o andrò in onda con l’Eredità o con una prima serata, e non più insieme come prima: il tempo restante verrà utilizzato per lavorare al restyling di RadioRai». In quale direzione? «A RadioRai si richiede dinamismo, di essere al passo con i tempi e credibilità. Occorre trovare una formula originale: tra RadioRai e la dinamicità delle private deve esserci una via di mezzo. Io sarò direttore artisco globale e, lavorando insieme coi direttori di rete, decideremo la direzione da dare alle tre reti principali, ma anche a Isoradio. Significa dare una serie di direttive, dalle sigle alla dinamicità delle varie trasmissioni, al palinsesto, alle persone che ci trasmetteranno». I giornalisti di RadioRai pare abbiano espresso qualche perplessità... «Li vorrei rassicurare. Un altro dei miei compiti è anche quello di valorizzare molto le persone che lavorano dentro la radio, stimolarle e soprattutto far capire che, a differenza della tv, la radio va fatta ancora più con amore. Perché non vedi il risultato immediato, ma lo costruisci granellino dopo granellino. Ci vuole almeno un anno per vederli. La radio è uno gioco di squadra, si ottengono risultati se si lavora insieme. Se tutto è a compartimenti stagni e qualcuno non collabora tutto più difficile». La sua idea di servizio pubblico? «Per prima cosa il rispetto del telespettatore e dell’ascoltatore. Condivido lo slogan lanciato da Viale Mazzini alla presentazione dei palinsesti: “La Rai è per te e per tutti”. Ovvero, attenzione al singolo, ma anche alla collettività. Occorre onestà professionale nel proporre le cose, anche nel varietà, senza urtare la suscettibilità delle persone. Senza essere bigotti, ma bastano alcune attenzioni: è il rispetto della persona». Lei torna al suo primo amore, la radio. «La radio è il mio primo grande amore. Tutto quello che faccio oggi nasce da quella passione assoluta che nel nel 1976, a 15 anni, mi ha fatto passare ore, ore e ore a parlare da solo a un microfono. E magari non c’era nessuno ad ascoltarti dall’altra parte perché nessuno aveva la radio in FM. Iniziò tutto con degli amici che costruirono un trasmettitorino, si portava lo stereo e qualche disco da casa e si tasmetteva. Quaranta anni fa c’era una prateria da conquistare e noi eravamo pirati veri. L’avvento delle radio libere è simile a quello che è avvenuto negli ultimi 10 anni col web, con tutto da inventare. Ti inventavi le dediche, le telefonate, gli scherzi telefonici, ti cambiavi i dischi da solo mentre parlavi...». La radio ancora oggi regge alla sfida del web. Perché? «Sì e non solo da noi. Negli Stati Uniti, che sono più avanti di noi di 20 anni, le radio mantengono ancora una loro forza, perché ci sono dei luoghi importanti in cui la si ascolta e ci tiene compagnia, come l’automobile o nei negozi. I 15enni la radio oggi la cercano su web, o su spotify come i 50enni la scoprirono nelle radio private». Le quali, oggi, sono diventate dei network che vi danno del filo da torcere. «RadioRai ha un pubblico maschile e anziano. La vera sfida è ricollocarla un po’ un po’, riconquistare la generazione dei quaranta-cinquantenni abituati ad ascoltare la radio privata e che si sono allontanati dalla Rai. Negli anni le private si sono rafforzate, sono diventate sempre più professionali, i grandi network lavorano benissimo e hanno una fortissima identità. Per questo purtroppo hanno superato in termini di numeri Radiorai. Che però ha una sua specificità. Ed ha una forza che è la sua arma in più, l’informazione». E il suo punto debole? «Negli anni RadioRai ha perso la sua identità musicale, ha perso il ritmo e dinamismo. Radiotre ha una missione diversa, culturale, ma se la perde la dinamicità Radiodue è un problema, Non c’è da fare rivoluzioni, c’è da migliorare quello che di buono c’è già». In pratica, cosa cambierà? «Radiouno ha una grande forza nei gr e una squadra pazzesca di giornalisti, sta lavorandom molto bene sull’informazione e gli approfondimenti. Ha solo bisogno che le si indichi una linea musicale che si è un po’ persa. Radiodue è quella su cui lavorerò di più, già a partire da questa estate, improntandola a un modo di trasmettere più dinamico e dando una linea musicale ben precisa dalla mattina alla sera». Ha in mente nuovi programmi? «Soprattutto rivedrei un certo tipo di intrattenimento: non è necessario parlare sempre ininterrottamente. Radiodue, ha il compito di fare compagnia in maniera brillante, ma anche musicalmente forte, perché la radio è fatta anche per ascoltare musica. Isoradio, invece, ha perso la sua identità: le daremo una linea musicale ben precisa, perché è una compagna di viaggio e deve allargare il più possibile i suoi ascoltatori. Quindi spazio alla musica “easy listening” e alla musica italiana, oltre alla viabilità. Su una cosa ho le idee molto chiare: la radio è più a togliere che ad aggiungere. Attenti a non farla mai diventare un panino troppo farcito perché, ribadisco, il suo elemento fondamentale è la musica, mentre ora si tende a riempirla troppo di programmini, parole, pseudoidee».Cercherà nuovi talenti? «Certo, la radio deve essere luogo di sperimentazione come internet. Gli ultimi volti tv vengono tutti dalla radio come Nicola Savino, Federico Russo, Cattelan. Sarebbe fantastico trovare nuove voci e personaggi. Certo, non devono pensare subito a quanto si guadagna». A proposito, c’è anche un aspetto commerciale in questo rilancio? «Naturalmente. La radio è sempre stata marginale, considerata come una Cenerentola. Il compito è far capire l’importanza di RadioRai anche nel mercato pubblicitario». Per questo punterà sull’effetto Sanremo? «Da direttore artistico della kermesse, mi sono accorto che le nostre radio hanno seguito benissimo l’evento, ma appena si sono spente le luci all’Ariston, la spinta si è un po’ persa. Invece il Festival è un evento talmente grosso che va sfruttato anche successivamente, invitando i protagonisti, presentando i loro album, trasmettendo i loro concerti». Richiamerebbe Arbore o Fiorello? «Magari. Sono degli assi che nascono ogni 20 anni. L’importante è non fare trasmissioni che tentino di scimmiottarli, cercando di fare ridere per forza. Non è facile trovare fuoriclasse».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: