domenica 15 maggio 2016
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Femminismi a confronto ROMA La grande questione femminile, che ha percorso la storia e il pensiero di millenni, si pone oggi con una forza, ma anche una complessità, forse senza precedenti. In un’epoca in cui, almeno nelle nostre società occidentali, in linea di principio la parità dei diritti è un fatto acquisito e indiscutibile, ci troviamo infatti a dover affrontare scenari inediti, che proprio della donna mettono in discussione valori e peculiarità. In un’ansia di omologazione che tende a destrutturare la dualità maschile/femminile, prerogative come la maternità sono relativizzate, anche con la complicità delle tecnologie alle quali il nascere (più ancora del morire) è sempre più spesso sottoposto. Chi è oggi la donna? Come viene rappresentata? Come è vista e addirittura utilizzata? Su questo vastissimo tema si sono confrontate, nel terzo forum proposto da “Avvenire” nella sua sede romana, quattro rappresentanti del pensiero femminile e delle battaglie che negli ultimi decenni lo hanno contraddistinto in Italia a livello culturale, filosofico, sociologico e politico: con il direttore Marco Tarquinio, che ha introdotto il dibattito, e con alcuni colleghi della nostra testata, hanno dialogato Francesca Izzo, già parlamentare Ds e Ulivo dal 1996 al 2001 e docente di Storia del pensiero politico all’università di Napoli, oggi animatrice del cartello femminile “Se non ora quando - Libere”, che lo scorso 2 dicembre all’Assemblea nazionale di Parigi ha firmato la petizione internazionale contro la pratica dell’utero in affitto; Emma Fattorini, storica, senatrice “cattodem” del Pd, voce critica all’interno della sinistra e impegnata in prima persona nel dibattito sulle attuali derive; Chiara Saraceno, sociologa che in qualche intervista si definisce «femminista storica e mai pentita» e che lo scorso dicembre è stata prima firmataria di un contro-appello a favore della maternità surrogata, a partire proprio da alcune sezioni territoriali di “Se non ora quando”; la deputata del Gruppo Idea Eugenia Roccella, un tempo portavoce di posizioni come quella a favore dell’aborto a fianco dei radicali, per poi alla luce di un ricompreso sguardo cristiano declinare il suo femminismo nelle battaglie per la dignità della donna, per il diritto alla maternità, per la famiglia basata sul matrimonio, contro «l’inganno dell’aborto». AVVENIRE: Quella della maternità surrogata è una delle grandi questioni del nostro tempo: riassume bene le dinamiche in atto ed esemplifica il desiderio del mondo contemporaneo di “mettere le mani sull’uomo e sulla donna”. Come ricorda papa Francesco, bisogna innanzitutto fare i conti con la realtà, con questarealtà, prima che con le idee che la interpretano e, spesso, la mistificano. Izzo: «“Avvenire” solleva la questione della donna nel mondo contemporaneo e fa bene, perché questo è davvero il terreno su cui dovremo molto discutere. La maternità surrogata è effettivamente esemplificativa di quanto sta avvenendo, ma prima occorre capire come stiamo reagendo alla rottura avvenuta nel secolo appena trascorso, con l’uscita dalla condizione millenaria che poneva le donne in un ruolo solo domestico e di accudimento dei corpi, per collocarle nella vita collettiva. Con quale cultura stiamo affrontando questa nuova situazione? Il rischio che stiamo correndo oggi, infatti, è che questa rivoluzione positiva venga ridotta a un disordine. In pratica, quelle funzioni che un tempo erano proprie delle donne, magari vissute anche come “condanna”, o vengono oggi eliminate del tutto, oppure si pensa di risolverle attraverso le tecniche. E l’utero in affitto è uno degli aspetti di questo fenomeno: ora che la maternità è diventata una libera scelta, si tenta di liberarsi proprio della maternità». Saraceno: «Dissento da questa visione: nella maggior parte delle società le donne erano viste forse solo come addette alla generazione dei figli, ma l’identificazione dello spazio femminile come domesticità non è affatto antica di millenni, risale all’Ottocento. In fondo è stata anche una conquista, perché le donne improvvisamente non erano più solo corpi riproduttivi o da lavoro pesante, e si è scoperto che l’accudimento ha anche bisogno di relazionalità, non è il mero dare cibo. Però è vero che questa funzione è stata affidata solo alle madri, con costi notevoli e a scapito dello spazio pubblico delle donne». Fattorini: «Oggi l’emergenza, che qualcuno chiama “svolta antropologica”, è legata alla tecnica applicata al corpo, soprattutto alla vita nascente. Con un grande fraintendimento: si ritiene che chi è contrario o anche solo cauto voglia mettere limiti alla scienza. Non è così, i limiti vanno messi alla tecnica e alle sue applicazioni, nessuno ferma la ricerca scientifica. La tecnica applicata al corpo in modo autonomo mortifica infatti la dimensione della scelta, produce lo spezzettamento del soggetto e soprattutto della donna, che tanto aveva faticato per trovare la sua dimensione e l’unità della persona. Avevamo sempre tentato di trovare una unità tra mente e corpo, avevamo percorso quindi un processo che fino a venti o trent’anni anni fa per tutte noi, oggi qui riunite a discutere, era positivo, era il cuore del femminismo dell’autodeterminazione e della libertà. Se invece oggi abdichiamo alla tecnica, perdiamo questa consapevolezza e i rischi più evidenti sono due: la subalternità da una parte alla tecnica (compresa l’esasperazione nelle procedure riproduttive, con ecografie estenuanti, continui controlli…), dall’altra alla mistica della natura, ora tanto in voga. In gioco c’è l’umanesimo che vogliamo creare: ciò che davvero è in crisi è la relazionalità, con se stessi in primis, e poi con l’altro diverso da me, così si cade nell’uniformizzazione in generale e nel tentativo di annientare le differenze». Roccella: «Più che di tecniche, io parlo di tecnoscienza con un’immediata ricaduta sul mercato. Penso a Louise Brown, prima neonata concepita attraverso la fecondazione artificiale, senza alcuna sperimentazione precedente: bisognava vedere se l’embrione cresceva o non cresceva e l’unico modo è stato inserirlo nell’utero di una donna e vedere. A questo punto siamo arrivati. Interessante l’analisi di stampo marxista che vede le tecnoscienze collegate a nuove forme di lavoro, comprese le donne indiane che affittano l’utero o la vendita di parti del corpo, di ovociti e di spermatozoi… Il rischio evidente è la disumanizzazione, insieme alla perdita delle relazioni: oggi si estremizza il concetto di individuo, dimenticando che però tutti si nasce nel corpo di un’altra persona, dunque da subito in relazione. Un concetto di relazione che l’attuale visione di maternità frammentata rischia di slabbrare: per la prima volta si è trasmesso il Dna di due donne a uno stesso neonato, figlio quindi di due madri. Il guaio è che il mercato assorbe tutto, come fosse normale». AVVENIRE: Ma che cosa è successo negli ultimi decenni? Cosa, cioè, ha potuto sovvertire un’antropologia antica quanto l’uomo, fino di derive sempre più estreme, e le ha rese apparentemente “accettabili” almeno ai fini commerciali? Quali sono state le premesse che hanno reso possibile un tale capovolgimento? Izzo: «La tecnica e i suoi progressi non sono i colpevoli, sono le conseguenze: dagli anni 80 del Novecento nella grande area del femminismo mondiale è nato il dibattito che ha costituito le premesse di scelte pubbliche così clamorose. Allora bisognava liberarsi dell’essere donna, scrollarsi di dosso il legame con una natura vista come negativa. Da qui è nata poi una corrente diventata egemone, per cui la diversità sessuale è qualcosa di limitante, di cui bisogna disfarsi. Il concetto originale di gender, non quello poi travisato nel significato odierno, significava appunto il fatto che sesso e genere possono non coincidere… poi è sorta una costruzione successiva secondo la quale la sessualità è una negatività che condanna i soggetti a un limite. Per concludere, oggi che finalmente donne e uomini possiamo stare tutti sullo stesso piano, è necessario un nuovo umanesimo sul piano della libertà, che però concepisca le differenze. Basta, quindi, con l’attuale proliferazione dei vari “diritti”, termine inflazionato e fuori luogo, parliamo invece di autodeterminazione. Anche quando lottavamo a favore dell’aborto, noi non parlammo mai di “diritto all’aborto”, ma appunto di autodeterminazione della donna che sceglie se diventare madre oppure no. Non c’è dubbio che la parola diritto accostata all’utero in affitto è un uso improprio». Saraceno: «Sulla maternità surrogata o gap (gestazione per altri), che non mi piace chiamare utero in affitto, io sono più possibilista. Infatti, quanto c’è di radicalmente nuovo in questa pratica? Tecnicamente è stata resa possibile solo in tempi recenti, è vero, ma persone che commissionavano ad altri un bambino ci sono sempre state, ad esempio prima della nuova legge sulle adozioni accadeva anche questo ( le altre relatrici fanno notare che infatti si è sempre trattato di reati). Anche il corpo al servizio del mercato fa parte della normalità, pen- so allo sfruttamento nel lavoro… Anni fa ero contraria anch’io, poi un’amica spagnola mi ha ricordato che anche il mandare un figlio a balia era usare il corpo di un’altra donna dietro pagamento. Il vero problema nella maternità surrogata, allora, è fare in modo che sia una scelta della donna, senza costrizione né sfruttamento. È vero, infatti, che questo spezzettamento ci sciocca, ma faccio notare che anche la donazione degli organi fu dirompente, al punto che ha cambiato la definizione di quando si è morti. Ho letto esperienze di maternità surrogata sia da parte delle coppie committenti che delle madri surrogate: esiste lo sfruttamento di donne poverissime del Terzo Mondo, e questo fa orrore, ma ci sono anche donne che lo fanno per mantenere la famiglia e i propri figli, dunque all’interno di una relazione. In Canada o negli Usa, ad esempio, non sono affatto schiave, inoltre sviluppano una relazionalità molto importante: un padre gay di una “famiglia arcobaleno” mi ha detto: “Non accetterei mai di ricevere un figlio da una donna che non mantenga una relazione con lui”. Sottolineo che questa esigenza è più sentita dalle coppie gay che da quelle etero, più preoccupate a far finta di niente… Infine pongo un interrogativo: è vero che bisogna regolamentare il mercato per evitare quei terribili contratti di sfruttamento, ma poi siamo pronti con delle alternative da dare a quelle donne del Terzo Mondo?» Fattorini: «Trovo inutile tirar fuori pratiche antiche e già da tempo accantonate, come il disastro del “baliatico”, con le donne portate al mercato come fossero bestiame da latte, o storie bibliche di schiave utilizzate per generare figli. Il passato è pieno di errori poi superati dalle civiltà. Quanto al parallelo proposto da Chiara Saraceno tra gap e donazione di organi, sebbene io sia contraria alla maternità surrogata in ogni caso, anche fosse gratuita, ricordo che c’è una bella differenza tra dono e sfruttamento. Nel secondo caso è facile essere tutti d’accordo (chi potrebbe essere a favore?), ma allora ci vogliono proibizioni pesantissime, bisogna fare leggi dure e poi pure applicarle, invece non ci si riesce, perché? Anche io ho incontrato varie “famiglie arcobaleno” e posso assicurare che sono rarissime le relazioni mantenute tra figli e madri surrogate. Ancora peggio sarebbe un eventuale caso di donazione tra sorelle che si prestano l’utero, o di madri con figlie, perché la dimensione psichica qui è fortissima. Sappiamo molto bene quante difficili implicazioni e rivalità si creino tra la madre e la figlia, lo abbiamo sempre studiato, e di colpo ci va bene tutto, anche che la madre usi il seme del marito della figlia? Stiamo tornando ai miti greci! In definitiva, condivido il richiamo di Saraceno a una cautela nel giudiall’irrompere care lo sfruttamento, ma io la raccomando anche nel valutare il cosiddetto “dono”». AVVENIRE: La donazione di organi ha rotto alcuni schemi, è vero, ma c’è una differenza enorme tra donare un rene o il proprio utero, seme o ovocita: lì dentro c’è una storia, un intero che ti precede va oltre te. Fattorini: «Sono d’accordo, l’utero non è un rene, esiste per dare la vita, è il luogo della relazione per eccellenza». Saraceno: «Finalmente parliamo anche di spermatozoi e di ovociti, che dovrebbero costituire un problema analogo. Perché si sollevano tante polemiche solo sulla maternità surrogata e non si dice nulla su quest’altro aspetto? ( in realtà, fa notare Tarquinio, è una battaglia condotta da sempre dal mondo cattolico e anche da intellettuali laici e, pressoché in solitudine sulla stampa, da “Avvenire”). Chiara Saraceno Sulla maternità surrogata sono possibilista. Il vero problema è fare in modo che sia una scelta della donna, senza sfruttamento. Siamo pronti a dare alternative alle donne del Terzo Mondo che oggi cedono il proprio corpo? Francesca Izzo La libertà è l’obiettivo comune a tutti gli uomini Da sempre abbiamo lottato per la nostra autodeterminazione, ma allora riguarda anche il bambino: chi lo dona riduce la sua libertà soggettiva I forum di “Avvenire” Nuove pressioni a livello sociale e l’espandersi delle potenzialità della tecnologia riportano in primo piano con forza e complessità senza precedenti la questione femminile Un tema come l’utero in affitto è infatti solo l’elemento più vistoso di un quadro ampio e di urgenza decisiva
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