venerdì 8 gennaio 2016
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Un sociologo, un antropologo, uno storico della spiritualità («sono solo un viaggiatore della letteratura mistica») capace di interpretare il postmoderno e l’inconscio dei contemplativi del Seicento, attraverso le categorie della psicanalisi freudiana apprese alla scuola di Lacan o semplicemente un sacerdote gesuita in grado di leggere il “cristianesimo in frantumi” della società del suo tempo. A 30 anni dalla morte di Michel de Certeau (1925-1986), avvenuta nella fredda sera del 9 gennaio 1986 a Parigi, sono ancora tanti e innumerevoli i tratti distintivi e attuali ma anche gli interrogativi aperti attorno a questa complessa figura del Novecento, – che fu tra l’altro assieme ad Hans Urs von Balthasar uno dei discepoli prediletti di Henri de Lubac, – definita dal suo confratello Maurice Giuliani, un «soggetto di inquietudine veritiera» per la sua capacità di essere trasversale nella conoscenza tra i saperi e le pratiche quotidiane: dalla filosofia alla teologia, dalla psicanalisi alla storia, fino all’etnografia. Uno studioso di razza citato e preso a modello dallo stesso papa Francesco (l’omaggio a De Certeau avvenne nel corso della sua prima intervista da pontefice ad Antonio Spadaro sulle colonne della Civiltà Cattolica nel settembre 2013) per essere stato uno dei migliori interpreti e curatori del Memoriale scritto dal primo sacerdote della Compagnia di Gesù e oggi santo: Pierre Favre (1506-1546). E proprio sull’edizione critica di questo volume, curata nel 1960 da Certeau – savoiardo come il suo autore – si sofferma Diana Napoli, giovane studiosa e autrice di Lo storico “smarrito”, bel libro dedicato all’intellettuale francese, edito da Morcelliana. «La centralità di questo testo ha come suo nucleo fondante il tema del viaggio che ricorrerà anche in altre pubblicazioni certiane come La Scrittura della Storia. Favre è un viaggiatore proprio come Certeau, a cui assomiglia: si riconoscono in entrambi le stesse virtù come la tenerezza, l’affabilità, la capacità di stringere e tessere amicizie. Si tratta di un racconto quasi biografico di Certeau: non vi è ancora la lettura più psicanalitica e inquieta che emergerà in un altro gesuita ed esorcista come sarà quello studiato solo pochi anni dopo come Jean Joseph Surin (16001665). Sia Certeau che Favre sono dei viaggiatori sperimentatori, seppur collocati l’uno nell’Europa del Concilio di Trento in preda ai protestanti e l’altro in quella del post-Concilio: si muovono, come direbbe papa Francesco, verso le “periferie”, “escono da se stessi” e dibattono le questioni più scottanti del loro tempo. Leggendo l’introduzione al Memoriale non vi è ancora la lettura complessa e tipica della produzione certiana successiva, che si manifesterà nei suoi saggi più maturi come Fabula Mistica dove l’autore userà nuove categorie come il dialogo con la psicanalisi e l’interdisciplinarietà, la scoperta di categorie nuove come il “ritorno del rimosso” nella sua pratica di storico di professione. Sembra quasi che Favre sia lo specchio di De Certeau mentre Surin ne sia, in un certo, senso l’ombra, il fantasma». Ma parole come «alterità», «erranza » anche disciplinare e «rottura » a volte “rifondatrice” appaiono essere, a tanti anni dalla sua scomparsa, le altri chiavi ermeneutiche più adeguate per comprendere la grandezza di questo intellettuale, originario di Chambéry, alla luce della sua lettura della rivoluzione studentesca del 1968 a Parigi, della società contemporanea (si pensi ai suoi saggi come La presa della parola o L’invenzione del quotidiano), della sua interpretazione del cristianesimo post-conciliare (basti rileggere i suoi testi più profetici come Cristianesimo in frantumi o Debolezza del credere).  Di questo è convinto il teologo benedettino tedesco Elmar Salmann. «Credo che rileggendo queste pubblicazioni si veda il “salto” di qualità dal suo “maestro di sempre” Henri de Lubac. Con il 1968 e il post-Concilio vi è la rottura tra questi due grandi pensatori e nascerà da lì un silenzio di comunicazione che non sarà mai più colmato. Con l’anziano gesuita di Fourviére vi è ancora un’interpretazione del cristianesimo all’interno della Chiesa: basti riprendere in mano il suo capolavoro Catholicisme o le sue riflessioni attorno a questioni come la libertà e la grazia. Con Certeau ci si apre a scenari nuovi: vi è una visione in grado di leggere il postmoderno, che guarda anche a chi è fuori dalla Chiesa. Vi è a mio giudizio, l’idea di una “grammatica del cristianesimo” che si espone all’anonimato e al mistero dell’assenza di Dio». Ed è proprio nella sua attenzione alle “diaspore del credere”, secondo una fortunata definizione di Carlo Ossola e nel suo dare finalmente voce e sembianze alle figure dei mistici della Compagnia di Gesù guardati con preoccupazione per quella “spiritualità sospetta” dalla gerarchia del suo ordine e dal Sant’Uffizio – come quelli narrati in Fabula Mistica, dal già citato Surin e i suoi demoni combattuti nel convento a Loudun nel 1638, ai “piccoli santi d’Aquitania”, Louis Lallemant o Jean de Labadie – che emerge un Michel de Certeau capace di stare ai margini della storia e di raccontare le trame di questi «stranieri in casa» e le loro «periferie esistenziali». È la convinzione che arriva da Silvano Facioni, curatore per Jaca Book dei testi più importanti di De Certeau come Fabula Mistica e La Scrittura della Storia. «In lui è fondamentale la centralità di tutto ciò che è marginale, residuale perché il margine è inafferrabile. Come certamente singolare è l’importanza che lui riconosce all’inconscio, al “significato dell’insignificante”, allo “straniero che ci inabita”. Una delle sue più grandi lezioni è stata proprio quella di incontrare l’altro e tentare di comprenderlo». E annuncia una importante novità editoriale: la prossima uscita per Jaca Book del libro postumo Fabula mistica II: «Abbiamo atteso 30 anni per avere in Italia questo testo curato dalla sua discepola ed esecutrice testamentaria Luce Giard. Si tratta di un volume in piena continuità con il primo dove al centro della narrazione compariranno nuovi personaggi, cari a Certeau, come Cusano, Giovanni della Croce e Pascal. Si è comunque rispettata la volontà dell’autore di non pubblicare mai cose incomplete». Un’eredità e un lascito dunque ancora attuale a 30 anni dalla sua morte. «Fino a pochi anni fa nelle università pontificie era visto quasi come un autore marginale ed “esoterico” – è la riflessione finale di Salmann – era quasi impossibile pensare all’idea di un dottorato su De Certeau. Oggi invece vi è una totale riscoperta di questo autore grazie alla sua “erranza” nei saperi e alla sua arte di aver creato una grammatica capace di comprendere in un certo senso la situazione sociale e religiosa del cristianesimo minoritario in Europa».
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