martedì 7 maggio 2013
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Ma Costantino fu un vero cristiano o uno statista dotato di grande opportunismo politico? La domanda percorre per intero il libro dello storico Marco Guidetti, Costantino e il suo secolo. L’«editto di Milano» e le religioni (Jaca Book, pp. 224, euro 18). E in effetti, come spiega lui stesso, «si tratta di una questione assai complessa, che lega la vicenda politica a quella umana dell’imperatore, senza che si possa dimenticare un fatto essenziale per l’epoca, cioè l’impossibilità che un uomo del suo tempo e con le sue responsabilità separasse la religione dalla politica. Resta comunque il fatto che per tutta la vita Costantino si confronta col Dio cristiano in un percorso che culmina col battesimo, poco prima della morte. Un confronto che i documenti a nostra disposizione mostrano sincero e frutto di una maturazione umana». Ma Costantino muore nel 337, mentre l’editto di Milano è del 313.«L’editto è l’accordo fra due potenti dell’epoca, Costantino e Licinio. Quest’ultimo era decisamente pagano ed era stato uno dei fautori della persecuzione di Diocleziano, mentre Costantino già all’epoca era orientato al cristianesimo, a prescindere da quel che accade nella battaglia di Ponte Milvio. I due si incontrano a Milano e decidono di porre fine ai contrasti garantendo la libertà religiosa per tutti. In realtà la persecuzione in Occidente era progressivamente scomparsa, ma era praticata in alcune regioni dell’Oriente e a queste si riferisce l’editto, o – meglio – quel che dell’editto è giunto fino a noi».Cioè due sole missive...«Sì, due lettere ai governatori della Bitinia e della Palestina che provengono dalla cancelleria imperiale d’Oriente, ma portano nell’intestazione i nomi di entrambi gli imperatori. In queste lettere si ordina di pacificare i rapporti con le varie comunità religiose garantendone i diritti e i patrimoni. La cosa curiosa è che queste lettere non hanno suscitato un grande interesse fra gli storici fino al 1700, quando i temi della tolleranza e della libertà religiosa sono diventati una questione importante per la vita politica dell’epoca. Così l’editto viene riscoperto come primo esempio di concessione di pari libertà, attribuendogli significati diversi da quelli che aveva in realtà, poiché si è cominciato a leggerlo con logiche di pensiero tipicamente settecentesche».Vuole dire che l’editto di Milano non può rappresentare il punto di partenza per la teorizzazione dello Stato laico?«Si può certamente dire che la maggiore differenza fra l’editto del 313 e le letture date dal ’700 in poi sta nel fatto che la libertà religiosa di allora non aveva niente a che fare con la laicità dello Stato, che in quel mondo non era concepibile. C’era piuttosto l’idea che con la libertà religiosa si garantiva che tutte le divinità potessero in ugual modo favorire l’imperatore e i suoi sudditi».Tutte le religioni allo stesso livello?«L’editto spiega che anche il cristianesimo rientra lecitamente fra le religioni praticate nell’impero. E Costantino è convinto che senza la protezione degli dei l’impero sarebbe stato dissolto dalle spinte centrifughe. Lui era orientato in favore del cristianesimo e a Ponte Milvio aveva avuto una conferma in questo senso, tanto che da quel momento in poi attribuisce al Dio cristiano tutte le sue vittorie politiche e non riesce più a pensare la propria vita politica senza la protezione della divinità cristiana».Una scelta in qualche modo politica?«Lo abbiamo detto: per un uomo di quel calibro in quell’epoca non si può fare distinzione fra vita politica e vita privata, fra scelta religiosa e governo dello Stato. Quel che sappiamo è che nel 324, quando sconfigge Licinio e diventa signore di tutto l’impero, fa un editto diretto ai nuovi sudditi in cui garantisce a tutti la libertà di culto, nell’ambito della pacificazione sociale da lui garantita, ma parla di verità cristiana alla quale, lui è convinto, prima o poi ognuno dovrà piegarsi».Insomma, anche dal punto di vista personale Costantino aveva deciso di essere cristiano?«Dobbiamo pensare che Costantino, come tutti i potenti, suscita in vita amori e odi feroci e patisce molte critiche anche da parte cristiana. In realtà però la domanda se fosse o non fosse autenticamente cristiano nasce nel ’500 quando si riscopre la <+corsivo>Storia nuova<+tondo> di Zosimo, scrittore pagano del IV secolo per il quale la scommessa sul Dio cristiano sarebbe stata all’origine dei successivi mali dell’impero. Riletta in ambito protestante, questa opinione servì per ridiscutere la figura di Costantino criticandolo sotto il profilo religioso personale. Poi nel 1800 Jacob Burckhardt lo descrive come uomo areligioso, che utilizza la religione per i suoi fini politici. Tutti gli storici che seguono ripartono da Burckhardt. Prima di lui, nei fatti, nessuno storico si era mai chiesto se fosse o non fosse religioso».Lei che idea si è fatto?«Dai documenti che abbiamo si delinea un percorso che va letto in funzione dell’uomo politico che era. Non c’è dubbio, però, che si sia trattato di un percorso di maturazione cristiana che è culminato nel battesimo».Che ruolo ha la madre Elena?«È una donna che emerge per la sua discrezione. Nella vita del figlio compare all’inizio come moglie di Costanzo Cloro e madre di un semplice ufficiale in carriera. Poi ricompare verso la fine della sua vita, quando il figlio ha già riunificato l’impero e lei fa viaggi in Oriente e riporta l’attenzione su Gerusalemme quando la capitale della regione romana di Palestina era Cesarea. È poi sant’Ambrogio, grande mentore della santità di Elena, a rilevarne l’importanza decisiva nella crescita cristiana del figlio. Ambrogio si spinge a descrivere un Costantino che è nella Chiesa, ma dalle fonti in nostro possesso è da ritenere che lui si pensasse come investito da un’autorità divina originaria, senza bisogno di alcun mediatore». E la storia che lo lega a Papa Silvestro?«È una leggenda nata nel V secolo. In realtà Silvestro fu una figura molto debole. Fu però Costantino a volere la Basilica di San Pietro sulla sepoltura del primo vescovo di Roma. Soprattutto è lui a volere la Basilica Lateranense per dare ai cristiani di Roma il luogo dove riunirsi per le celebrazioni più importanti. La fa costruire più grande dei templi di allora e riccamente adornata, ritenendo che il vescovo si debba muovere in un ambiente che richiama quello imperiale».
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