venerdì 12 giugno 2015
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Si può pensare di avere tra le mani 'solo' un testo di consumo critico. E invece la filosofia e la spiritualità soggiacenti a questo testo sono proposte di solido impianto umanistico con venature cristiane ben chiare. Wendell Berry è un autore che carsicamente emerge nella pubblicistica italiana: il titolo del suo testo Mangiare è un atto agricolo è ormai un mantra nel circuito dell’agricoltura sostenibile, della filiera km 0 e dei gruppi di acquisto solidale (Gas). Una delle affermazioni più ficcanti di Berry, «il modo in cui mangiamo determina in misura rilevante l’utilizzo che facciamo del mondo » è un must in quei circoli che cercano di sfuggire all’imperialismo alimentare di multinazionali, di fast food e di quanti vedono nell’«uomoserbatoio » (copyright cardinale Angelo Scola) il proprio terminale pubblicitario.Ma la prospettiva di questo scrittore, attivista, agricoltore (una di quelle figure eccentriche che solamente la cultura americana sa produrre: alcuni suoi testi sono già stati tradotti dalla Lef ) risulta innervata di quel sano realismo che solo le posizioni intellettuali autenticamente libere e umane possiedono. Si prenda per esempio la lotta di Berry al riduzionismo e al darwinismo economico, ovvero all’idea che bisogna trarre 'il massimo dal minimo'. Berry si domanda: «Quando l’economia perde il suo legame con l’interesse pubblico, la moralità e la religione, la cultura si disintegra». Il cristianesimo affiora come uno dei motori principali della visione di Berry, sia in chiave di critica alla visione dell’agrobusiness, sia in fase propositiva nella riscoperta dell’agricoltura familiare: «Gli agricoltori sono i dispensatori dei misteri di Dio», afferma. E nella diatriba tra (neo)illuminismo e cristianesimo su quale sia l’origine culturale dell’emergenza ambientale, Berry si posiziona sul fronte biblico: «L’uomo si è imbarcato nella sua guerra contro la natura, con l’obiettivo di conquistarla estorcendole potenti e fruttuosi segreti. Un atteggiamento che è stato da noi interpretato come 'lumi' e 'progresso' ». Per lo scrittore del Kentucky la vocazione dell’agricoltore è quella di «ammini-stratore della Creazione e del futuro della terra».  Non mancano in Berry icastiche e brillanti osservazioni sul nostro modo postmoderno di avere a che fare con il nutrirsi: «Le cucine e i luoghi in cui ci alimentiamo somigliano sempre più a stazioni di rifornimento, così come le case somigliano sempre più a motel». Ancora: «Il cibo appare truccato tanto quanto gli attori. La preoccupazione principale non è la qualità e la salute ma la quantità e il prezzo».  Secondo Berry al fondo di tale deriva troviamo un’idea industriale («il pensiero industriale è un pensiero senza rimorso ») applicata all’arte di coltivare la terra: «Abbiamo dimenticato che un buon agricoltore è un artigiano di altissimo livello, una specie di artista. Solo un lavoro di qualità compiuto da agricoltori di qualità garantisce nel lungo periodo una disponibilità sufficiente di cibo». E invece anche alla terra si impone quel giogo riduzionistico che va per la maggiore in ogni campo economico (coi disastri cui abbiamo assistito, ad esempio in ambito bancario): «Fa accapponare la pelle sentire professori di ruolo raccomandare o tollerare politiche economiche darwiniste nei confronti degli agricoltori».  Cosa cambiare dunque? Berry suggerisce un nuovo modo di intendere l’attività lavorativa: oggi a malincuore si deve ammettere che «l’uomo lavora non perché il lavoro è necessario, degno o utile per un fine desiderabile, oppure perché ama il suo lavoro, ma soltanto per poterlo lasciare, in una condizione che un’epoca più sana di mente della nostra avrebbe considerato simile a una condanna infernale». MANGIARE È UN ATTO AGRICOLO Lindau Pagine 256. Euro 19,50
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