martedì 29 luglio 2014
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Allievo indiretto di Edmund Husserl, il filosofo tedesco Hans Blumenberg (1920-1996) ha concentrato il proprio studio sulla metafora (Paradigmi per una metaforologia è il titolo del suo libro del 1960, versione italiana presso Il Mulino, 1969), soffermandosi sull’analisi, descrittiva e critica, delle modalità figurative, simboliche e metaforiche attraverso le quali si esprimono i filosofi. Nel tempo Blumenberg ha verificato il proprio metodo analizzando singole metafore e tra i suoi lavori più noti e letti in Italia si segnalano quelli a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, con i quali ha affrontato il naufragio inteso come metafora dell’esistenza (Naufragio con spettatore, Il Mulino 1979) e il libro visto come metafora della natura nella parabola della modernità e della secolarizzazione (La leggibilità del mondo, Il Mulino 1981). Tra gli ultimi suoi scritti Passione secondo Matteo (Il Mulino 1996), col quale ha tentato di condurre ai piedi della croce di Cristo chi, come noi contemporanei, non sente più neppure il bisogno di essere liberato. Del filosofo, ora, la rivista "Communio" nella sua edizione tedesca (http://www.communio.de/, maggio-giugno 2014) ha pubblicato l’ultima lettera, datata 26 febbraio 1996 e indirizzata a Uwe Wolff. Una lettera che l’allora giovane teologo ricevette in risposta ad un suo libro sugli angeli decaduti dedicato a Blumenberg, che del tema s’era occupato anni prima. La lunga lettera è commentata dallo stesso Wolff e documenta le radici cattoliche del filosofo: la madre era ebrea, ma convertita al cristianesimo (le sue sorelle, non convertite, vennero uccise dai tedeschi) e il padre "mercante d’arte cattolico" con amicizie internazionali e fornitore di oggetti devozionali presso chiese e monasteri. Ispirato dal suo "modello" Rupert Mayer e da Johannes Prassek (uno dei "martiri di Lubecca", beatificati nel 2011 da Benedetto XVI) Blumenberg voleva farsi sacerdote e per questo studiò prima teologia cattolica a Paderborn (1939-40), dove ebbe come padre spirituale il minore cappuccino Ekkehard Schröder, e poi a Sankt Georgen (1941-42), presso i gesuiti, finché i nazisti glielo permetteranno. Ed è proprio la Compagnia di Gesù ad essere citata più volte nella lettera: «Nel Suo libro mi ha sorpreso il fatto che come esorcista compaia un gesuita», scrive a Wolff, «conosco quest’ordine meglio di qualsiasi altro e conosco chi ha dovuto lasciare l’ordine a causa delle sue attività non concordanti con la disciplina della Compagnia». E qui Blumenberg cita Hans Urs von Balthasar, suo vecchio amico e il «più significativo conoscitore di Origene». Nel delineare il rapporto tra Blumenberg e la Chiesa cattolica, Wolff ricorda come egli ne sia rimasto «per tutta la vita membro» e tuttavia «non ha voluto una sepoltura cristiana», e questo «è stato il suo mistero». Durante gli anni d’insegnamento a Kiel (1950-58) tenne seminari su Sant’Agostino, San Tommaso e su temi neotestamentari. Del resto, come ricorda ancora Wolff, il filosofo «restò per tutti gli anni Cinquanta un cattolico praticante, attento a recitare ogni giorno una preghiera serale insieme ai figli maggiori». Una rottura sembra essersi prodotta in seguito a causa di posizioni dissenzienti da quelle del padre, in particolare quando quello, sostenuto da Kurt Nowak, il parroco di Bargteheide, la comunità frequentata dai Blumenberg, volle come erede la sua nuova convivente, anziché il figlio Hans. In un passo della lettera Blumenberg scrive di avere «perso la fede, ma non l’amore per la Chiesa. Per essa, non per questo Paese ha valore la Sua frase, quella che ho citato» (la frase di Wolff cui si riferisce diceva: «Che grazia, avere una patria!»). E di seguito un altro ricordo gesuitico, il primo semestre a Sankt Georgen, «la Compagnia di Gesù», scrive, «mi accolse dandomi il numero di matricola 002 e istruendomi alla disciplina filosofica». «Questo Paese mi è rimasto estraneo», continua il filosofo sul tema Germania, «sebbene l’abbia lasciato solo di rado e io stesso non l’abbia voluto abbandonare quando mio padre mi offrì i soldi per studiare a Roma». Al giovane filosofo si presentò allora l’opportunità di continuare la propria formazione gesuitica, frequentando l’Università Gregoriana. E nonostante la stima reiterata verso la Compagnia («ne avevo stima e mi era per più versi amica»), decise di rinunciare a Roma: «Sono stato un bamboccione», è il commento dello stesso Blumenberg.Non manca, nella lettera, il ricordo del "leone" di Münster, il vescovo Clemens August von Galen, di cui ricorda le prediche coraggiose contro il nazismo, ma anche il fatto che, «come tutta l’aristocrazia della Westfalia, non era propriamente un amico degli ebrei». «Quando Pio XII gli consegnò la porpora», aggiunge Blumenberg, «disse al gigante nell’orecchio "Dio protegga la Germania". Ed è questo ciò che mi è rimasto dell’amore alla Chiesa, sebbene essa non potrà seppellirmi».  Circa i passaggi speculativi della lettera, il filosofo che dai più è stato dipinto come il rappresentante della critica illuministica alla religione e come il difensore della modernità dai suoi nemici, si rivela anzitutto come un erudito esperto fin nei minimi dettagli della tradizione cristiana, dimostrando conoscenze non solo di dogmatica, ma anche di liturgia e di esegetica.
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