domenica 26 luglio 2015
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Il futuro è antico. Parola di Angelo Branduardi, il menestrello scapigliato che dal 1994 al 2014 si è occupato soprattutto della riscoperta del patrimonio musicale italiano dimenticato attraverso gli otto album di Futuro Antico, progetto nato dalla sua volontà di intraprendere una ricerca filologico-musicale diretta al recupero di brani tematici del passato per raccontare un territorio: dalla musica di corte dei Gonzaga alla musica della Serenissima, dalla festa di San Giovanni a Roma alla musica alla corte dei principi-vescovi di Trento. L’occasione per ascoltare i brani più significativi di questo progetto sarà domani a Spilimbergo (Pordenone) in un concerto che Branduardi terrà con l’Ensemble Scintille di Musica a conclusione di Folkest, la più importante manifestazione di musica folk italiana. Lei è stato un antesignano della riscoperta della musica antica mescolata al pop. Con “Futuro Antico” il progetto è chiaramente storico. «Il progetto nacque per scherzo, con l’ensemble Chominciamento di Gioia e la collaborazione del maestro Renato Serio. Il primo disco conteneva pezzi bellissimi, anche conosciuti. Non solo è stato un progetto divertente, ma tutti i dischi sono stati commissionati da Venezia, Mantova, Trento, Aquileia... Come facevano i mecenati di un tempo». Quando ha scoperto la musica antica? «Non ho frequentato la musica antica in età scolare. Al Conservatorio non si studia, si parte dal barocco. Ho studiato violino al “Niccolò Paganini” di Genova, trasferendomi poi a Milano, fra le esperienze e la musica con cui venivo a contatto in quegli anni mi capitò di ascoltare per la prima volta la musica antica. Quando mi imbattei in Kalenda Maya (in provenzale “Calendimaggio”) del trovatore Raimbaut de Vaqueiras, fui impressionato. Cominciai ad approfondire la materia e quegli stimoli influenzarono il mio disco Ballo in fa diesis minore, del 1977, contenuto nell’album La Pulce d’acqua . Tutti spunti che ripresi nella mia produzione popolare, da Alla fiera dell’est (ispirato a un canto che ascoltai durante una Pasqua ebraica) a Cogli la prima mela». Una tradizione musicale che lei ha saputo rielaborare e rendere attuale nelle sue ballate. «Sono diventato un appassionato e un conoscitore turistico della musica antica. Mi piace suonarla, ho la voce adatta a farlo. Suono il violino, il pianoforte giusto, quel che mi serve per comporre, la chitarra classica, i fiati barocchi, il liuto. Inoltre sono dotato di grande curiosità e grande orecchio. Difficilmente dimentico una melodia che ho ascoltato. Se è difficile, giro col quaderno per segnarmi gli appunti». I suoi album negli anni ’70 hanno avuto un enorme successo e anticipato altre tendenze... «In effetti ho preso ispirazione dalla musica antica prima che diventasse di moda. Sono stato un antesignano della musica etnica. Poi sono andato avanti con fonti di ispirazione diverse. Sono un bambino che ruba la marmellata (ride, ndr). Mi metto sempre in discussione, fare un album dal sapore diverso può essere rischioso. Quando nel 1985 pubblicai Branduardi canta Yates fu un fiasco. Nel tempo, invece, è diventato un disco di culto». Un suo grande successo, però, è stato l’“Infinitamente piccolo” del 2000 ispirato a San Francesco... «È stato una cosa meravigliosa. L’idea venne a quattro giovani frati che mi vennero a trovare per propormi di mettere in musica delle canzoni su testi tratti dalle Fonti francescane. Dentro di me non ero convinto. Non amo la musica devozionale, la messa “beat” mi fa orrore, la batteria la butterei fuori dalla chiesa perché per me è blasfema tanto quanto cantare delle frasi banali. Ascolta Haendel, che preghi meglio...Su questo Ratzinger ha ragione, quando in piazza San Pietro faceva echeggiare l’Oratorio di Bach al posto dei bonghi. Io non ho dubbi: la musica sacra è la più bella musica che ci sia mai stata in Occidente». Sarebbe interessante uno scambio di opinioni musicali tra lei e il Pontefice emerito... «Magari. Io ho avuto l’onore di essere chiamato nel 2009 in Vaticano a partecipare all’incontro di Benedetto XVI con i 300 artisti “eletti” sul significato della Lettera agli artisti di Paolo VI. Ho conosciuto meglio invece Giovanni Paolo II, dato che ho suonato al Concerto di Natale in Vaticano  per cinque volte». Ma torniamo a san Francesco. Come andò con i fraticelli? «Tornarono alla carica. E io risposi: “Ma io sono un grande peccatore”. E loro replicarono: “Dio sceglie sempre i peggiori”. Mi convinsero. Poi sono diventato grande amico di padre Paolo Fiasconaro. Ci ho lavorato tanto per scegliere su 1500 pagine quelle giuste da musicare. La casa discografica aveva previsto un flop, invece fu un successo. Lo capii al debutto allo Smeraldo di Milano nel 2000: il teatro era esaurito e c’erano 500 persone fuori a caccia di biglietti. La tournée proseguì arrivando a 120 concerti in Europa con la partecipazione di Ennio Morricone, i Madredeus, Franco Battiato e la Nuova Compagnia di Canto Popolare». Adesso c’è un altro Francesco che ha emanato l’enciclica “Laudato si’”... «Questo Papa mi piace moltissimo, è spietato sui temi scottanti e tenerissimo con la gente. È la persona giusta al posto giusto». Avendo suonato tanta musica legata allo spirito, lei avrà sviluppato un suo rapporto con Dio.. «Non ho il dono della fede, ho piuttosto un percorso accidentato, fatto di cadute e di entusiasmi. Una cosa sola so: che la musica è l’arte più astratta, quindi quella più vicina a Dio».
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