sabato 1 novembre 2014
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Torinese, classe 1948, storica e docente all’Università La Sapienza di Roma, la giornalista Lucetta Scaraffia è la prima editorialista donna de 'L’Osservatore Romano', quotidiano della Santa Sede. Tra i suoi volumi, 'Due in una carne. Chiesa e sessualità', con Margherita Pelaja (2008) e 'La grande meretrice. Un decalogo di luoghi comuni sulla storia della Chiesa', pubblicato lo scorso anno dalla Libreria Editrice Vaticana. A luglio è uscito in edicola 'Papa Francesco e le donne', scritto a quattro mani con Giulia Galeotti, coedito da 'Il Sole 24 Ore' e 'L’Osservatore Romano'. Del quotidiano vaticano cura, insieme a Ritanna Armeni, l’inserto femminile mensile 'donne chiesa mondo'; nel numero monografico di novembre, dedicato alla cultura, un’inchiesta di Alberto Fabio Ambrosio su Krista Tippet, conduttrice radiofonica di programmi religiosi in America, mentre Camilla Dacrema racconta i cento anni delle Paoline ('Da domestiche a editrici'). Il paginone teologico è firmato da Catherine Aubin ('Collaboratrici del Creatore'). Nel volume Papa Francesco e le donne, firmato assieme a Giulia Galeotti, la storica e giornalista Lucetta Scaraffia definisce Bergoglio «rivoluzionario per tanti aspetti, anche per quanto riguarda la questione delle donne nella vita della Chiesa». Perché «ha parlato delle donne e della loro situazione nella Chiesa - mi dice - con un linguaggio chiaro ed esplicito, al quale non eravamo abituati. Mi viene in mente, per esempio, quando ha detto che nei loro confronti bisogna stare attenti a non confondere servizio con servitù: è una breve frase, che però dice tutto delle donne nella Chiesa. E, al contrario, quando ha affermato che Maria è più importante degli apostoli: è una verità semplice, nota a tutti, ma dimenticata. A questo bisogna aggiungere che ha inserito almeno una donna in tutte le Commissioni che ha nominato in questo inizio di pontificato».Il Papa «denuncia con una sincerità e un coraggio veramente nuovi la condizione di subalternità in cui si trovano oggi le donne nella Chiesa». Per un cambio di mentalità, da dove partire? «Quanto succede nella Curia romana è importante, perché costituisce un modello di riferimento ineludibile, ma non dobbiamo dimenticare che molto è stato fatto e si fa per aprire alle donne ruoli importanti nelle diocesi, soprattutto in Francia e Germania. Ma, a mio modo di vedere, il posto in cui le donne potrebbero realizzare un vero cambiamento di mentalità, se fossero presenti in numero non esiguo e con ruoli di guida e di docenza, sono i seminari. Se fossero presenti nel periodo di preparazione al sacerdozio, i seminaristi - oltre ad abituarsi al rapporto con loro - farebbero anche esperienza di donne autorevoli, con le quali si devono confrontare e sostenere esami. Mentre, fino a oggi, le donne sono presenti nei seminari soprattutto nei servizi, abituando così i futuri preti a considerarle delle domestiche». Lei cura con Ritanna Armeni «donne chiesa mondo», mensile dell’«Osservatore Romano»: quali riscontri ricevete? «In questi due anni e mezzo di esperienza abbiamo avuti riscontri importanti soprattutto al di fuori dell’Italia. Ci hanno intervistate giornaliste e giornalisti di molti Paesi, in diverse lingue, e alcune reti televisive hanno addirittura girato dei documentari sul nostro lavoro, tutti stupiti e ammirati dell’esistenza di una pubblicazione femminile in quello che sembra tuttora l’ultimo avamposto del potere maschile. Ma le soddisfazioni più grandi le abbiamo avute quando ci hanno mandato lettere, e talvolta scritti molto belli, delle missionarie o delle religiose che con noi scoprivano finalmente la possibilità di farsi ascoltare. E abbiamo avuto anche la solidarietà e la collaborazione di intellettuali femministe, anche non credenti, che hanno riconosciuto l’importanza di questo sforzo. Per ora invece sono stati piuttosto scarsi i contatti con le istituzioni religiose femminili. Ma cercheremo di avviare anche questi contatti». Nei suoi studi storici quali figure femminili cristiane l’hanno colpita maggiormente? «Sono veramente tantissime: per fortuna, la storia della Chiesa è ricca di donne straordinarie. Se cerco qualche nome mi viene in mente Perpetua, la martire di Cartagine che nell’anno 203 ha descritto la sua prigionia e lo strazio del distacco dal figlioletto che allattava, in assoluto uno dei primissimi testi scritti da mano femminile. Poi Ildegarda di Bingen, una delle grandi intellettuali del Medioevo, scienziata e musicista che ha dovuto lottare per tutta la vita con tutti, e in un certo senso anche con le direttive che la Luce divina le imponeva. Caterina da Siena, così lucida e intelligente, che era ascoltata solo perché illuminata da Dio, ma non accettata per la sua chiara visione politica. Quante volte ho pensato a come sarebbe cambiata la storia se quei mediocri papi del suo tempo le avessero dato retta! E Teresa d’Avila, luminosa e ironica, capace di servirsi come un’arma della cosiddetta 'debolezza femminile'. E ancora, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, Francesca Cabrini, capace di dispiegare qualità di grandi imprenditrice, di globe trotter in un’epoca in cui le donne non facevano nessuna di queste cose, e di nascondere nel profondo del suo cuore un’unione totale con Gesù. Poi tante, tante altre». Se potesse candidare alcune donne al titolo di dottore della Chiesa, quali proporrebbe? «Mi verrebbe voglia di candidare donne del Novecento che non sono neppure state dichiarate sante: come Adrienne von Speyr, che ha accettato con semplicità e profonda umiltà il suo essere mistica e al tempo stesso medico, moglie, donna del suo tempo, e che ha scritto testi bellissimi oggi quasi dimenticati. O Dorothy Day, che è passata attraverso tutte le illusioni di libertà della donna emancipata, e ha poi trovato nel rapporto con Dio e nel dedicarsi ai più poveri il senso profondo della sua vita, e l’ha scritto in libri e articoli che hanno attirato tanti altri alla conversione. Insieme ad altre, come Madeleine Delbrêl, sono state capaci di far brillare la fede di luce nuova, adatta ad essere compresa dai loro contemporanei». Nel libro un capitolo è dedicato alle violenze sessuali subite dalle religiose. In ambito ecclesiale se ne parla troppo poco? «Mi stupisce sempre che se ne parli così poco quando - almeno nei Paesi poveri - è solo la Chiesa cattolica, insieme talvolta alle confessioni protestanti, a occuparsi delle donne che hanno subito violenza, a difenderle, a curarle. E un merito davvero grande del cristianesimo è sempre stato quello di insegnare il rispetto verso le donne in culture che non lo conoscono, ma la Chiesa non ne sembra consapevole e non ne rivendica mai il merito. Penso poi che una delle ragioni per cui non se ne parla è che molte violenze, specialmente verso le religiose, avvengono perfino all’interno della Chiesa, e si preferisce nascondere questa realtà, molto pesante da accettare e difficile, in alcuni contesti, da sradicare». Cosa si aspetta dal pontificato di Francesco? «Non so cosa aspettarmi, in verità, perché vedo che gli ostacoli che impediscono un riconoscimento del ruolo delle donne nella Chiesa sono ancora molti, soprattutto una diffusa cultura fortemente maschile: alcuni ecclesiastici si limitano a parlare della Madonna e della loro mamma, e tutta la loro apertura si limita a questo. Le dico cosa desidererei: che le donne venissero ascoltate. Nei sinodi, nelle riunioni in cui si decide il futuro della Chiesa. Questo mi sembra indispensabile, e non tanto per la causa delle donne, ma per la vita stessa della Chiesa».
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