mercoledì 8 febbraio 2012
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Il centenario della nascita, che ricorre il 13 febbraio prossimo (era infatti nata il 13 febbraio 1912, a Milano), pone l’occasione per fare il punto sul "caso" Antonia Pozzi, vale a dire quello di una delle poche grandi voci poetiche femminili del primo Novecento italiano. Questa giovane donna frequenta gli ambienti culturalmente più vivi della Milano degli anni Venti e Trenta, tra le lezioni di Banfi e quelle di Dino Formaggio, è un’appassionata di montagna e di alpinismo, sfida le regole di una famiglia un po’ conservatrice come la sua, dominata dalla figura del padre, quando da giovane sui banchi del Liceo si innamora, corrisposta, del professor Antonio Maria Cervi, eppure la sua figura è rimasta per molto tempo in attesa di un risarcimento, almeno per quanto riguarda la verità della sua ricerca umana, del suo sentire, del suo tormentato rapporto tra il suo mondo interiore e la realtà.Tutta la forza, ma anche il dolore e la ricerca di una dimensione metafisica che nutre sempre la verità delle sue "parole" è rimasta per anni legata ad un solo libro di poesie, Parole, pubblicato postumo dal padre, dopo il suicidio di Antonia, in una fredda giornata dell’inverno del 1938, nei prati vicino all’abbazia di Chiaravalle e in un’edizione che, pur essendo stata elogiata nientemeno che da Montale e accolta con grande favore dalla critica, in qualche modo "tradiva" il pensiero della poetessa, con tagli e omissioni, là dove il riferimento non era consono alla memoria che si voleva costruire per la figlia. È stato un equivoco durato per molti decenni, fino a quando, grazie al lavoro preciso e puntuale di una suora, Onorina Dino, la verità su Antonia Pozzi è stata fatta conoscere integralmente, grazie alla creazione dell’Archivio dedicato alla poetessa. Infatti alla loro morte, i familiari avevano lasciato in eredità le cose di Antonia, compresa l’amata casa di vacanza a Pasturo, sopra Lecco, in Valsassina, dove la Pozzi è sepolta sotto le sue amate Grigne, alle Suore del Preziosissimo Sangue di Monza. Agli inizi degli anni Ottanta Onorina Dino inizia ad occuparsi dei manoscritti della Pozzi, in una ricostruzione conforme all’originale di Parole e con la pubblicazione, via via, negli anni di tutto il corpus poetico. Dopo trent’anni di studi filologici e di ricerca tra le carte della Pozzi ecco che possiamo avere il corpus completo dei suoi scritti, da tutte le poesie ai diari, all’epistolario, fino alla tesi di laurea e alle fotografie che rappresentano per Antonia Pozzi un modo di "scrivere" diverso, attraverso lo sguardo e l’immagine. Tradita più volte, la sua "verità" continua però ad emergere, anche dopo un’ "ambigua" e filologicamente poco corretta recente edizione di tutte le sue opere, fatta da Garzanti, le cui mancanze sono state "corrette" da quella che possiamo ritenere l’edizione "per eccellenza" dei suoi scritti, curata da Graziella Bernabò e da Onorina Dino, intitolata <+corsivo>Poesia che mi guardi<+tondo>, edita lo scorso anno da Luca Sossella editore, in un cofanetto che contiene anche l’apprezzatissimo documentario, con lo stesso titolo,  di Marina Spada.È l’occasione per entrare nel mistero di una donna attraverso il racconto che lei ne fa, dal momento in cui decide di affidarsi alla poesia e scrive «Ora accetti/ d’esser poeta». E le sue sono parole "imprescindibili" per capire la sua tormentata esistenza, sulla quale in questi anni, spesso, si è preferito affidarsi ad interpretazioni speculative, più di stampo scandalistico, che di vera e fondata aderenza ai fatti. Lo sottolinea anche Graziella Bernabò nella fondamentale biografia che ha dedicato alla figura di Antonia Pozzi che ora viene ripubblicata in una versione aggiornata ed ampliata, con il titolo Per troppa vita che ho nel sangue, da Ancora (pag. 340, euro 24,00), nata per «delineare la complessa figura di Antonia all’interno di un ben preciso contesto umano e storico-culturale, mediante una ricerca ampiamente conoscitiva» per evitarle «il torto postumo delle invenzioni scandalistiche». Così la Bernabò scrive di aver sempre avuto «come punto di riferimento principale la sua straordinaria poesia, nella convinzione che, benché morta molto giovane, sia andata ben oltre quel "punto", quel "punto solo" di evidenza letteraria che le riconosceva Eugenio Montale, cui comunque, va attribuito il merito di averla precocemente valorizzata negli anni Quaranta».È tutta da leggere questa biografia critica per compiere un viaggio attraverso il pensiero di una giovane donna che vive tutto all’insegna di una sensibilità forte e allo stesso tempo lucida e pacata, tanto che suor Onorina Dino, nella prefazione, scrive che il titolo della biografia, ripreso da una poesia della Pozzi, «è già un segnale della intensità e della profondità con cui la poetessa, fin da un’età quasi infantile, coglieva e viveva in sé la passione per la vita, l’anelito forte a non sprecarne nemmeno un attimo nel grigiore o nell’insignificanza, la capacità di gioire e di soffrire per le cose più piccole e umili», quelle stesse che nascondono un sentire "religioso" che attraversa le parole, le nutre, ne fa dimensione di umana, evidente, autenticità, quella stessa che ha permesso alle "parole" della Pozzi di "salvarsi" e porsi come un momento fondamentale della ricerca poetica novecentesca in Italia.
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