venerdì 19 luglio 2013
​Il governatore del Veneto, Zaia, promette: «Farò tutto il possibile perché l'isola abbia il premio. Verrebbe riconosciuto l'impegno di un'intera popolazione che con pazienza, umanità, solidarietà e condivisione affronta ogni giorno quella vergogna mondiale che è il flusso di nuovi schiavi».
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Un’isola da Nobel? Lampedusa insignita del massimo riconoscimento mondiale per la pace? L’appello rilanciato ieri dal nostro giornale con le interviste a Renato Schifani e Anna Finocchiaro, continua ad incontrare accoglienza favorevole. Anche il presidente della Regione Veneto, il leghista Luca Zaia, ha accettato di rispondere alle nostre domande e di prendere posizione «senza se e senza ma per la candidatura dell’isola». Sarebbe disponibile a impegnarsi per una candidatura al Nobel per la pace dell’isola di Lampedusa e dei suoi abitanti?Diciamolo con sincerità e chiarezza: troppe volte il Nobel per la pace è stato assegnato a leader politici, più che per una reale vocazione del premiato, per strategie internazionali o per favorire la soluzione di complessi processi diplomatici. Nel caso di Lampedusa verrebbe invece premiata una intera popolazione che con pazienza, umanità, solidarietà e condivisione affronta ogni giorno quella vergogna mondiale che è il flusso dei nuovi schiavi. E lo fronteggia in perfetta solitudine. Per cui sì, io sono senza "se" e senza "ma" per la candidatura al Premio Nobel per la pace di Lampedusa e dei suoi meravigliosi abitanti.Pensa che in Parlamento questa candidatura possa avere il consenso di tutti? Lei sarebbe disponibile a iniziative trasversali necessarie per sostenerla?Certamente, farò tutto il possibile. Anche perché è soltanto con la forza del Parlamento che si potrà svolgere a livello internazionale e comunitario quella pressione necessaria a raggiungere un risultato sicuramente difficile. Perché difficile?Non tanto per le motivazioni, la cui giustezza e ragionevolezza sono sotto gli occhi di tutti, bensì perché, proprio a livello europeo, Lampedusa e l’Italia sono sempre state lasciate sole ad affrontare ondate crescenti di immigrazione. Nell’Europa di Schengen, in quell’Europa delle burocrazie che non ci piace, abbiamo visto nazioni leader (quelle sempre pronte a chiedere agli altri il rispetto delle regole) chiudere dal giorno alla notte le frontiere senza alcuna condivisione coi partner, lasciando l’Italia - con i suoi 7.456 chilometri di coste - a gestire la disperazione di chi arriva con ogni mezzo dal Sud del mondo.Papa Francesco a Lampedusa ha indicato a tutti l’accoglienza come un dovere dell’uomo. Ritiene che il nostro Paese stia facendo abbastanza per gli immigrati?Posso parlare del mio Veneto, dove l’integrazione è realtà viva, operante, forse uno dei migliori modelli di integrazione a livello europeo. Il 10,2 per cento della nostra popolazione veneta (quasi 510 mila persone, di cui 255 mila occupati) è immigrato. Di questi, ben 39 mila hanno avviato attività imprenditoriale. L’effetto complessivo sul Pil regionale derivante dall’immigrazione è del 14,2 per cento. Sono cittadini a tutti gli effetti, i loro bambini frequentano le nostre scuole, le nostre case, giocano nelle stesse squadre sportive insieme ai nostri figli. Per questo, al di là dello sterile dibattito sullo ius soli, mi sono permesso di affermare pubblicamente e con forza quella che secondo me è l’unica, solida verità: i bambini che frequentano le nostre scuole, che sono scolarizzati, che parlano l’italiano (e spesso anche il nostro dialetto meglio di noi), sono da considerare subito cittadini italiani. Porte aperte a chi vuole venire da noi, lavorare, fare famiglia. Porte chiuse, però, e per sempre, a chi viene con altre intenzioni, a rovinare e inquinare una società che da secoli ha saputo fare dell’accoglienza e della solidarietà un valore quasi genetico.
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