mercoledì 31 luglio 2013
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​Inizia dodici anni fa - il 25 giugno del 2001 - con le perquisizioni della Guardia di Finanza negli uffici di Mediaset a Cologno Monzese, la vicenda giudiziaria sulla presunta frode fiscale per i diritti tv, che vede coinvolto Silvio Berlusconi. Viene, così, resa nota l’esistenza dell’inchiesta appena avviata. Bisogna attendere quattro anni perché i pm Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo notifichino agli indagati, 14 in tutto, l’avviso di chiusura indagini. È il 19 febbraio del 2005. Due mesi dopo i pm chiedono il rinvio a giudizio per gli imputati, tra cui il produttore cinematografico Frank Agrama, il manager Fedele Confalonieri e il banchiere Paolo Del Bue (questi ultimi due in seguito assolti).Poi l’udienza preliminare, il processo di primo grado e l’appello - che aveva confermato il giudizio di primo grado di condanna a quattro anni di reclusione e cinque di interdizione dai pubblici uffici - durano in tutto altri otto anni. Vi sono, infatti, numerose pause dovute a legittimo impedimento, Lodo Alfano, ricorsi alla Corte Costituzionale e appuntamenti elettorali. Fino alla recente decisione della Corte di Cassazione di fissare per ieri l’udienza. Un percorso scandito da polemiche.Nel 2005, il Gup manda a processo 12 persone e ne proscioglie due. Nel novembre 2006 comincia il processo davanti ai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Milano. Primo stop per le politiche del febbraio 2008. A settembre subentra la sospensione per l’eccezione di legittimità costituzionale del Lodo Alfano sollevata dai pm. Bocciato quest’ultimo, nel 2009 riprende la maratona. Ma c’è subito un rinvio al 18 gennaio 2010. Ad aprile nuova sospensione per una questione di legittimità costituzionale della legge sul legittimo impedimento. Si riparte il 28 febbraio 2011, dopo la bocciatura parziale della legge sul legittimo impedimento.Arriva poi l’ostacolo più grosso: il 20 aprile 2011, infatti, il governo solleva il conflitto di attribuzione per il legittimo impedimento dell’allora premier a partecipare a un’udienza, perché impegnato in un consiglio dei ministri. Il processo non si ferma, pur pendendo la spada di Damocle della Consulta (che deciderà nel giugno 2013). E il 26 ottobre 2012 il tribunale condanna Berlusconi a quattro anni di reclusione (di cui tre condonati per l’indulto) e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, condanna non immediatamente esecutiva. Condannati anche Frank Agrama a 3 anni, e i manager Fininvest Daniele Lorenzano (3 anni e 8 mesi) e Gabriella Galetto (1 anno e 2 mesi). Il 18 gennaio di quest’anno parte il processo di secondo grado che viene però fermato due volte. Ma a maggio arriva la conferma delle pene. E il 19 giugno la Consulta dà ragione ai giudici milanesi. Secondo la Corte costituzionale, il primo marzo del 2010 (giorno in cui era stato convocato un consiglio dei ministri straordinario) l’imputato-premier era venuto meno al principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato. Subito i legali del leader del Pdl - ai quali si aggiunge Franco Coppi in sostituzione di Piero Longo - presentano ricorso in Cassazione. Il 1° luglio arriva alla Suprema Corte dall’autorità giudiziaria di Milano la segnalazione di imminente prescrizione di una parte dei reati contestati. Infine, ci si avvicina a grandi passi all’epilogo di questi giorni: il processo viene assegnato alla sezione feriale della Cassazione e viene fissata la data dell’udienza: 30 luglio. L’avvocato Coppi si dice esterrefatto per la fretta, il Pdl insorge. E la polemica continua.
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