lunedì 14 ottobre 2013
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Si dice che ogni soldato firmi un contratto con la morte. Se è così, ai cento di stanza a Lampedusa la "grande livellatrice" ha presentato il conto nel modo più imprevedibile. Imprimendo sensazioni che non se ne andranno: «L’odore di cadavere oltrepassa le mascherine - ricorda il caporal maggiore Biagio Manco - e si fissa nello stomaco. Nulla possono le fialette al mentolo». Mettendoli di fronte a se stessi: «Quando ho aperto il sacco ed è apparso il corpo disfatto di una ragazza della mia età - ammette il caporale Annalisa Lops - mi sono fermata. Potrei essere io...». Oppure consolidando le certezze: «Siamo dei soldati, una risorsa per il Paese - afferma il capitano Leandro Giordano - e quando occorre facciamo cose che la gente non si aspetta, ma se non le facciamo noi...».Se dovessimo dare un volto alla misericordia italiana nella tragedia continua che affligge Lampedusa, potrebbe essere il volto di questi tre soldati. Giovani come tanti, che hanno scelto con diverse motivazioni di indossare una divisa - quella dell’Esercito, ma varrebbe lo stesso per Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco, Carabinieri, Polizia, Guardia costiera, Marina Militare e Aeronautica, per restare ai corpi impegnati in quest’emergenza - e che invece dall’alba del 3 ottobre si ritrovano a fissare il volto della morte come pietosi necrofori. «Dopo un primo istante di choc - spiega Biagio - entri in una sorta di film, sei separato dalla realtà, continui ad essere te stesso, con i tuoi valori e la tua esperienza, ma non provi più disgusto né orrore. E fai quel che devi fare». Il compito dei soldati è quello di prendersi cura delle salme riportate in superficie dai sommozzatori dei Carabinieri e dei Vigili del Fuoco, trasportare, aprire e chiudere i sacchi per le prime operazioni di identificazione. Fino ad oggi, al molo Favarolo sono arrivati 339 corpi che fotografano con crudezza la violenza del naufragio e l’opera di distruzione provocata dal mare. Notte e giorno, al vento salmastro e sotto il sole cocente dell’autunno nordafricano, questi ragazzi si sono immersi per 339 volte dentro gli odori, i colori e le smorfie della morte: «Lo sguardo di un cadavere si supera; quel che non superi - spiega Annalisa - è lo sguardo dei sopravvissuti. Cerca qualcuno che non tornerà più. Se poi è un bambino...». Professionisti ma anche uomini e donne «che si sono mobilitati con generosità - attesta il capitano -. Pochi minuti dopo l’allarme tutti erano a disposizione, anche chi, come Biagio, avrebbe iniziato allora il turno di riposo». Giordano comanda il contingente dell’Esercito e dell’Aeronautica presente sull’isola dal 2007 nell’ambito dell’operazione Strade Sicure, un’attività di supporto alle forze dell’ordine coordinata dal colonnello Marco Buscemi, comandante del Reggimento Lancieri d’Aosta di Palermo; se non routine, qualcosa di molto più tranquillo delle stesse missioni umanitarie. «Abbiamo scontato un effetto sorpresa - ammette l’ufficiale -; una tragedia con centinaia di vittime non era tra le ipotesi di lavoro. Per fortuna c’è un grande spirito di corpo...». Che si alimenta della durezza della prova: «Vivere esperienze di questo genere comporta scariche di adrenalina che cementano i rapporti. Dopo questo genere di cose si è fratelli, una famiglia» ammette il capitano. «Dopo questo genere di cose si cambia» aggiunge il caporale Lops: «Prima ero una ragazza normalissima, che nella vita di tutti i giorni cercava di tenersi lontano da situazioni disgustose e truci. I miei genitori in queste ore si chiedono come possa fare quello che sto facendo».Il gruppo è seguito dal cappellano militare di Palermo, don Pino Terranova. Per lui, questi giovani sono moderni Nicodemo e i naufraghi nuovi Crocifissi: «Questi soldati - ci dice - sono dei privilegiati perché hanno toccato con mano le piaghe di Cristo, hanno raccolto con pietà cristiana i corpi di chi è morto per l’indifferenza del mondo». Dare l’ultima carezza a corpi martoriati da un viaggio disumano che si è concluso con l’urlo soffocato dal mare non mette al riparo dagli interrogativi più profondi. «Eppure ci ha dato un gran senso di sicurezza aver vicino l’elemosiniere del Papa. È stato come aver vicino Francesco - rivela Biagio -. Lo abbiamo visto piegarsi e pregare sui corpi delle vittime: la sua non è stata una presenza formale. Quando se n’è andato ci ha regalato un’immagine del Papa, che abbiamo ancora in tasca. L’hanno presa anche i colleghi che di solito non vanno a messa».

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