lunedì 11 marzo 2013
​La denuncia di un imprenditore di Reggio Calabria ha portato all'arresto e alla condanna per tre giovani estorsori legati al clan Ficarra-Latella. Imponevano l'installazione di software illegali sulle macchine per aumentare le perdite.
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Il coraggio della denuncia e l’arroganza della violenza abbondano nel processo “Azzardo”, chiuso in primo grado venerdì sera dal tribunale di Reggio Calabria che ha condannato a sei anni di reclusione Vincenzo Nettuno, Gennaro Gennarini e Terenzio Minniti, presunti estortori dell’imprenditore Gaetano Caminiti, titolare di una sala giochi con annesso centro scommesse nella frazione di Pellaro della Città dello Stretto.Secondo la ricostruzione dell’accusa, affidata al pm antimafia Stefano Musolino, i tre giovani, considerati vicini al clan Ficara-Latella, avrebbero tentato di imporre l’installazione sui computer della sala giochi gestita da Caminiti di un software illecito per il poker online, aggravando – per di più illecitamente – le perdite degli ignari clienti. Tra l’altro il programma che i “compari” caldeggiavano è vietato dalla Snai, con cui la sala giochi è convenzionata. Quindi avrebbe fatto perdere a Caminiti il rapporto privilegiato con la società nazionale. Anche questo, probabilmente, ha inciso sulla decisione dell’uomo di rifiutare la proposta indecente dei tre. Uno sgarro imperdonabile, nella logica malata della malavita. Un rifiuto che, secondo la ricostruzione della procura antimafia reggina, avrebbe fatto scivolare il coraggioso imprenditore in un gorgo di danneggiamenti e intimidazioni d’ogni genere, compreso un tentato omicidio. Ma Caminiti non ha indietreggiato né abbassato la testa. Anzi l’ha tenuta bella alta quando in aula, durante il processo, guardando in faccia i suoi presunti estortori, ha confermato le denunce che avevano avviato le indagini. Proprio la denuncia e la deposizione durante il processo hanno avuto un peso determinante nella condanna dei tre imputati. Importante anche un video, girato dalle telecamere del sistema di sicurezza interno alla sala giochi, che avrebbe ripreso le fasi della missione estorsiva. Era privo di audio, ma non lasciava dubbi sull’identità dei tre. Intanto Gaetano Caminiti è costretto a vivere sotto scorta, e venerdì ha lasciato l’aula del tribunale in anonimato guardato a vista dagli agenti di custodia. «I tre vanno via con l’alterigia e l’arroganza tipica della ’ndrangheta – aveva ricostruito il pm nella requisitoria –. Gennarini fa leva sulla sua parentela con i Latella-Ficara, per presentarsi nella sala giochi e imporre un accordo». Durante il dibattimento i tre hanno anche accusato di calunnia Caminiti, mettendo la loro ricostruzione dei fatti nero su bianco in un memoriale che è stato depositato agli atti. Venerdì sera quando il presidente del collegio giudicante, Olga Tarzia, ha letto il dispositivo con cui accoglieva in gran parte le richieste del pubblico ministero, nell’aula è scoppiato il finimondo: urla, minacce e parole grosse da parte di parenti e amici dei presunti estortori. Vincenzo Nettuno ha sfogato la rabbia scagliando una manata contro il vetro che chiude la gabbia in cui era rinchiuso. Anzitutto un gesto d’impotenza di fronte al coraggio dell’imprenditore e alla forza della giustizia.
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