mercoledì 7 marzo 2012
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​Le sfide di questi tempi difficili don Francesco Soddu, 53 anni, sassarese, dal 20 febbraio nuovo direttore della Caritas italiana, ha scelto di affrontarle in prima linea con umiltà e determinazione.

Cosa deve trovare chi bussa alle porte della Caritas?La relazione. Non basta dare solo quanto richiesto dal povero, spesso dietro la domanda si nasconde un altro bisogno fondamentale, quello di relazione, come ci ha ricordato anche il Papa nella "Deus Caritas est" e nel discorso del 40° della Caritas. L’uomo è al centro dell’attenzione. Un obiettivo che mi sono prefisso è ribadire che l’intervento delle Caritas è sempre in funzione della testimonianza della carità. È la prevalente funzione pedagogica indicata dallo statuto. Non significa disinteressarci dei problemi, bensì portare la vicinanza di Dio e della Chiesa alle persone in stato di necessità, quindi intensificare la nostra presenza, dare segni di speranza e coniugare prossimità e accompagnamento personale.Il censimento delle opere socioassistenziali e sanitarie parla di oltre 14mila realtà che la Chiesa mette in campo ogni giorno per aiutare i deboli…Un patrimonio che la Chiesa ha messo in campo da anni, da sempre. Il censimento fa capire quali sono le forze che la carità mette in campo affinché si possa fare meglio e di più. Dunque non in funzione autocelebrativa, ma per intessere meglio i rapporti, determinare le cause della povertà e capire quali strategie attivare per la promozione della persona umana, per la difesa dei posti di lavoro, per promuovere, oltre alla carità, la giustizia.C’è una forma di povertà più urgente in questo tempo di crisi?Oggi preoccupano la mancanza di relazioni e la povertà culturale che rendono ancora più drammatica la povertà materiale. In altre epoche la perdita del lavoro o una malattia determinavano un affiatamento ulteriore in una famiglia, invece oggi c’è un impoverimento, Ad esempio si innescano dinamiche di disgregazione famigliare.L’immigrazione è problema o risorsa?È un tema in divenire. Da una parte c’è la grande realtà di cinque milioni di immigrati regolari e dobbiamo affrontare i problemi dell’integrazione. Dall’altra quella ancora legata all’emergenza. Ad esempio, mi chiedo cosa capiterà in primavera con gli sbarchi. Altro problema è lo status da concedere ai richiedenti asilo giunti l’anno scorso dalle coste nordafricane. Bisogna agire. Nel decennio dedicato dalla Chiesa italiana alla sfida educativa che ruolo deve giocare la Caritas?La Caritas è la via maestra per educare i giovani a declinare i diversi aspetti della carità. Con il volontariato a fianco dei deboli si impara non solo a mettere parte del proprio tempo a disposizione degli altri, intento già lodevole, ma ad accompagnare la scelta con un cambio di stile di vita. Il volontario Caritas non è colui che dona un po’ di tempo al servizio, bensì chi vive in una dimensione tale che la sua vita è piena di onestà, sobrietà, rispetto per gli altri. E mette a disposizione quanto ha ricevuto. Cosa ne pensa della proposta di ripristinare il servizio civile obbligatorio?Magari! Avremmo bisogno di un servizio che educhi alla cittadinanza, alla mondialità e alla pace. Ma realisticamente ora la priorità è la salvezza del servizio civile volontario, dato che molti progetti già approvati slittano di diversi mesi e nel 2013 di questo passo non ne partirà nessuno A livello internazionale quali sono le priorità della Caritas italiana secondo lei?La visione della mondialità è cambiata, deve avere l’uomo al centro del mondo per promuoverlo. Dove c’è l’uomo c’è la Caritas, coi i caschi bianchi e gli operatori a fianco delle comunità locali, perché deve esserci la Chiesa per promuovere a tutto campo il bene comune. In questo momento di particolare tensione tra Iran e Israele, ad esempio, come non guardare con timore a quell’area? Come non preoccuparsi del Corno d’Africa e delle aree sub sahariane o del Nordafrica i cui conflitti si riversano sulla nostra Europa? Ma la carità non fa preferenze.

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