lunedì 23 luglio 2012
​La Chiesa «non smetterà di denunciare, di richiamare tutti alle proprie responsabilità». Così il cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, riflette sulle vicende che Avvenire sta denunciando dalla “terra dei fuochi”.
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Dietro al dramma dei “roghi” e della cattiva gestione dei rifiuti in Campania ci sono «corposi esempi di egoismo, di individualismo e di interesse personale, mentre stenta ad affermarsi la vocazione al bene comune». Per questo la Chiesa «non smetterà di denunciare, di richiamare tutti alle proprie responsabilità». Così il cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, riflette sulle vicende che Avvenire sta denunciando dalla “terra dei fuochi”. Ma invita anche alla speranza, perché «va prendendo corpo una voglia di cambiamento, con una presa di coscienza della gravità dei comportamenti e, quindi, della responsabilità che compete a ciascuno».Eminenza, lei nel 2008 disse che «la tragedia dei rifiuti» era «impropriamente chiamata “emergenza”». Dopo quattro anni non si parla più di emergenza e, va riconosciuto, almeno nella città di Napoli la situazione è migliorata. Ma nella cosiddetta “terra dei fuochi”, rimane sempre drammatica. Eppure sembra esserci disinteresse. Perché?Nel 2008 il grido di denuncia della Chiesa di Napoli e della Campania era pienamente motivato dalla insostenibilità di una situazione che comprometteva fortemente la salute dei cittadini, offrendo al mondo intero l’immagine pietosa di una città tradita e offesa. Oggi, come lei ha ricordato, senza voler giustificare niente e nessuno, lo “spettacolo” nella città, benché non sia quello ideale, è senz’altro decente. Non così nelle periferie e in molte aree delle province di Napoli e Caserta dove il fenomeno dei roghi deve preoccupare, soprattutto alla luce dei dati sulle patologie tumorali. Dobbiamo, dunque, riportare la verità piena dei fatti, con messaggi di speranza e di fiducia nel cambiamento, ma anche denunciando, come stanno facendo le Chiese locali, i drammi che vivono quelle popolazioni.La lunghissima vicenda dei rifiuti è stata costellata da molte proteste dei cittadini. Però soprattutto contro l’apertura di discariche o di termovalorizzatori. Per anni, nulla o quasi contro chi scarica i rifiuti, anche tossici, e li incendia. Poche anche le denunce. Ora la voglia di reagire sta crescendo, lei percepisce un cambiamento di clima?Forse è questo il vero problema, che ancora esiste. Permangono corposi esempi di egoismo, di individualismo e di interesse personale, mentre stenta ad affermarsi la vocazione al bene comune. Si tende a far prevalere una strana e astratta idea di municipalismo, che sfugge ad ogni logica dell’appartenenza, senza tutelare, in assoluto, la comunità locale, perché alla fine i danni complessivi si riverberano su tutti. Lasciando da parte, quindi, il discorso delle risorse finanziarie necessarie, resta insoluta la questione strutturale delle discariche, come soluzione transitoria, e dei termovalorizzatori. E questo non è attribuibile soltanto alla responsabilità delle istituzioni o della politica, ma soprattutto di tutti e di ogni singolo cittadino, che deve rispondere del proprio operato e del mancato rispetto delle regole. Acquista, dunque, un ruolo prioritario la sfida educativa, che per la Chiesa è momento significativo dell’azione pastorale. Bisogna dire, comunque, che va prendendo corpo una voglia di cambiamento, con una presa di coscienza della gravità dei comportamenti e, quindi, della responsabilità che compete a ciascuno.Con la soluzione data al problema rifiuti a Napoli, il caso sembra si sia chiuso almeno sul piano politico e mediatico. Eppure proprio da vescovi e parroci della Campania continua a essere lanciato l’allarme su situazioni che permangono gravi. Lei stesso invitò «a non tacere». Ma ora, contro chi continua a scaricare e a incendiare che cosa si può fare?Il problema non è chiuso, perché, come ho detto prima, resta aperta la soluzione strutturale, mentre va crescendo una nuova cultura civica. È naturale, quindi, che la Chiesa si faccia interprete e portavoce dei punti di crisi che permangono, mettendo in campo attraverso le parrocchie, come già ha fatto la diocesi di Napoli negli anni scorsi, un’azione di sensibilizzazione nei confronti della popolazione e delle autorità. Con la mia lettera pastorale di giugno scorso ho detto chiaramente che “per amore del mio popolo… non tacerò”. È questa la scelta fatta dalla Chiesa locale, da ogni parroco e da ogni sacerdote: non si smetterà di denunciare, di richiamare tutti alle proprie responsabilità, di invitare tutti all’impegno per realizzare il bene comune. Lo abbiamo fatto nel passato, continueremo su tale strada, facendo sentire la voce della Chiesa per dare voce ai più deboli, per difendere gli interessi della comunità, per combattere le illegalità, i soprusi, le tante forme di violenza.Dietro ai roghi ci sono gli affari della camorra ma anche di imprenditori che pur di risparmiare si affidano alle criminali pratiche di “smaltimento”. Cosa dire per spiegare il danno che provocano?È arduo arrivare al cuore duro di chi ha scelto la strada del male, ma bisogna sempre credere in una possibile redenzione. Credo sia utile far arrivare messaggi attraverso i figli e altri componenti della famiglia, per cui è importante e preziosa l’azione educativa e formativa svolta dalla parrocchia attraverso un rapporto vivo e continuo con le scuole e le famiglie, soprattutto quelle più fragili ed esposte. In quest’ottica il Giubileo straordinario per Napoli, indetto lo scorso anno, è stato un banco di verifica, perché ha scosso le coscienze, facendo uscire tanti dall’individualismo e dall’indifferenza, in una società mortificata dal degrado, dal disservizio, dal senso di abbandono e di sfiducia. Un annuncio che, partendo da Cristo, si è proposto di convertire i cuori, spingere al cambiamento, determinare un nuovo modo di essere nella comunità, attento a un equilibrato uso delle risorse del pianeta, in un attivo impegno per la salvaguardia del creato.In uno dei momenti di maggiore violenza a Napoli, che vedeva coinvolti molti giovani, Lei lanciò l’appello «a consegnare i coltelli». Ed ebbe una forte risposta. Quale appello vorrebbe fare a chi attenta ugualmente alla vita avvelenando la terra, l’acqua e l’aria?Vorrei dire, richiamando l’ammonimento di Giovanni Paolo II in Sicilia: Convertitevi! Verrà il giorno del giudizio anche per Voi. Uscite dal tunnel della morte e imboccate la strada della vita e dell’amore per la vostra terra, per la vostra famiglia, per i vostri figli. Cristo e in suo nome la Chiesa è pronta ad aprirvi le braccia e ad accogliervi per guidarvi sulla strada della salvezza.C’è una responsabilità delle istituzioni e della politica?La loro azione è indispensabile e doverosa, ma, come ho detto nella mia ultima lettera pastorale, il recupero della vivibilità dipende soprattutto dal grado di coinvolgimento e di maturità di tutti i cittadini nella costruzione della casa comune. Per tutti, insomma, c’è una responsabilità morale, oltre che civica.Lei quattro anni fa, nel pieno dell’ultima crisi dei rifiuti, intitolò un suo libro «Non rubate la speranza». Oggi di fronte ai roghi dei rifiuti, alla distruzione del territorio e di un’economia, all’aumento delle morti, che sembrano davvero rubare ogni speranza, giudica necessario e possibile ripetere quell’invito?Non bisogna mai smettere di infondere e alimentare la speranza, come ci ha esortato Papa Benedetto XVI in un eccezionale videomessaggio inviato a conclusione del Giubileo: "…rinnovate la speranza, lasciatevi guidare dalla forza dello Spirito Santo e collaborate con rinnovato slancio alla missione della Chiesa, ciascuno mettendo a frutto i doni ricevuti, ponendoli al servizio degli altri e della edificazione dell’intera comunità…". Questo invito autorevole e premuroso ci è stato di guida nella definizione del programma pastorale, sottolineando la necessità di una fede aperta al bene di tutti, nel convincimento che il bene comune non esclude alcuna persona ed è, quindi, un traguardo legittimo e condivisibile anche per chi ha una fede diversa o non ne possiede affatto.
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