Un colpo al cuore dell'Europa
da 18 mld di euro l'anno, senza contare le possibili conseguenze
politiche dai costi numericamente non quantificabili ma
dall'impatto forse anche più devastante. È il costo della fine
di Schengen, che la Commissione Ue ha voluto mettere nero su
bianco nelle previsioni economiche di primavera, "più pericoloso
della crisi dell'euro di qualche anno fa", ha avvertito anche il
ministro dell'economia Pier Carlo Padoan.
Per il settore del trasporto merci, i costi, calcolati in
base a ritardi da mezz'ora a due ore dovuti alla reintroduzione
dei controlli alle frontiere, andrebbero da 1,7mld sino a 7,5mld
all'anno. A essere colpita sarebbe poi anche la mobilità dei
passeggeri internazionali che conta 1 miliardo di tragitti
intra-Schengen annui, e in particolare gli 1,7 milioni di
lavoratori transfrontalieri europei. Qui i costi, contabilizzati
in base a ritardi da 7,5 minuti a mezz'ora per ogni viaggio,
andrebbero da 1,3mld sino a 5,2mld in un anno. A intervenire ci
sarebbero poi gli oneri amministrativi della reintroduzione dei
controlli, dal personale ai mezzi, da 600mln a 5,8mld per anno.
Questi, però, tiene a precisare la Commissione, sono solo i
costi diretti calcolati in base all'approccio metodologico del
'valore del tempò. Ci sono poi quelli indiretti, legati a un
possibile cambiamento nei comportamenti, come per esempio una
riduzione dei viaggi o una riorganizzazione della catena
produttiva. Per esempio, avverte Bruxelles, "l'industria del
turismo potrebbe essere duramente colpita, in particolare da un
calo dei turisti da fuori Ue", e "in particolare" le industrie
"manifatturiere come l'automotive" potrebbero subire un
"impatto" con "costi più alti". Senza contare il rischio di "una
più profonda crisi di fiducia", anche sugli investimenti, con un
"impatto economico di gran lunga maggiore".