mercoledì 22 luglio 2015
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No ai matrimoni gay, sì a una legge che riconosca le coppie dello stesso sesso. Ieri lo ha detto la Corte europea dei diritti dell’uomo, sanzionando l’Italia che ancora non è riuscita a trovare la quadra sul tema. Ma lo scorso febbraio in termini simili si era espressa la Corte di cassazione, e già dall’aprile 2010 la Corte costituzionale. Niente strumentalizzazioni, dunque: la pronuncia di ieri non è un invito a sdoganare nel Belpaese le nozze egualitarie. Comprenderlo è facile, basta leggerne il testo con un poco d’attenzione. La Cedu parte da 2 presupposti. Primo: l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo protegge il rispetto della vita privata e familiare, e tale è pure quella di una coppia gay. Secondo: la legge italiana non prevede il matrimonio gay, e non esiste alcun obbligo perchè lo introduca. Da qui la considerazione: “Il miglior strumento affinchè una coppia dello stesso sesso veda legalmente riconosciuta la propria relazione - scrive la Corte nel riassunto della pronuncia - è quello dell’unione civile o del rapporto registrato”. Che nel nostro Paese pure non esistono. E, questi sì, non possono mancare. Niente di nuovo sotto il sole. Lo scorso 9 febbraio, la nostra Cassazione aveva depositato una sentenza simile: all’“unione omosessuale” spetta “il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone - nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. Ma “si deve escludere – precisa il Palazzaccio – che l’aspirazione a tale riconoscimento possa essere realizzata soltanto attraverso un’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio”. Per giungere a tali conclusioni, la Suprema corte cita più volte una sentenza della Consulta: quella depositata il 15 aprile 2010. Che innanzitutto riconosce come “per formazione sociale, ove devono essere riconosciuti e garantiti i diritti fondamentali dall’uomo ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione, deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione”. E che poi precisa come “in tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale”. Ma si badi bene: “Al fine di regolare diritti e doveri dei componenti della coppia - si legge nella pronuncia - il solo riconoscimento del diritto di contrarre matrimonio non realizzerebbe tale finalità”. E già allora si specifica come queste “scelte rientrano nella discrezionalità del legislatore”. Che dunque non ha nessun obbligo di introdurre il matrimonio omosessuale, ma solo quello di regolamentare le unioni gay. E attenzione: non necessariamente con un paradigma che richiama quello nuziale.

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