giovedì 5 maggio 2016
​Eseguito il decreto di confisca legato all'inchiesta "Pizza Ciro" nei confronti di quattro imprenditori coinvolti in traffici gestiti dalla camorra napoletana.
Roma, beni per 80 milioni confiscati ai clan
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I carabinieri del Comando provinciale di Roma hanno eseguito la confisca di beni per 80 milioni di euro a quattro imprenditori, ritenuti coinvolti in traffici gestiti dalla camorra napoletana. Tre imprenditori erano stati arrestati dai militari nel gennaio 2014 nell'ambito dell'indagine "Margarita", meglio nota come "Pizza Ciro", cheportò all'arresto di 20 persone e sequestri di locali nel centrodella Capitale. ​​I carabinieri hanno dato esecuzione ad un decreto di confisca dei beni emesso dal tribunale di Roma nei confronti degli imprenditori Luigi, Antonio e Salvatore Righi e di Alfredo Mariotti, i primi tre arrestati nel gennaio 2014 nel contesto dell'indagine nota come come 'Pizza Ciro'. Ammonta a oltre ottanta milioni di euro il valore dei beni confiscati, tra i quali ci sono: 28 esercizi tra bar, ristoranti e pizzerie; 41 beni immobili; 385 rapporti finanziari e bancari; 76 veicoli; 77 società; 300mila euro di denaro contante rinvenuti nel corso delle operazioni. Il provvedimento è stato perso, scrivono gli inquirenti per "l'accertata pericolosità sociale dei predetti soggetti, fondata sul loro coinvolgimento in traffici delittuosi gestiti dalla camorra napoletana". L'indagine ha fatto emergere come i fratelli Righi fossero "stabili riciclatori per conto della camorra napoletana, al servizio, in particolare, del clan Contini". I beni confiscati, già sottoposti a sequestro di prevenzione nel 2014 su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Roma, sono attualmente gestiti dagli amministratori giudiziari nominati dal tribunale. Le indagini dirette dalla Dda di Roma e condotte dai carabinieri del Nucleo investigativo di Roma hanno dimostrato che l'impero economico dei fratelli Righi, proprietari di un insieme di società attive nella gestione di decine di ristoranti situati nelle vie di pregio del centro storico di Roma, con un volume d'affari palesemente sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati, veniva gestito con modalità illecite, grazie a una rete di società intestate a prestanome, finalizzate al reimpiego e all'occultamento di ingenti risorse economiche di provenienza illecita.
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