lunedì 10 febbraio 2014
​Nel grande quartiere alla periferia nord sorto negli anni Sessanta rimangono i problemi di una forte immigrazione, ma anche l'impegno di una società vitale non prona alla malavita. (Reportage di Claudio Monici)
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Il vecchio boss le giornate le trascorre al bar-tabacchi in fondo a via Pascarella, infilando un euro dopo l’altro nelle macchinette mangiasoldi. Gioca pesante, così la slot non si ferma mai e lui vince, abbondantemente. Se si assenta dalla postazione di gioco, a nessuno viene permesso di usare “quella” slot. Ragazzi della zona, facce spavalde, quando entrano nel bar, si rivolgono a lui con un «ciao zio» e lo baciano, come si fa con qualcuno cui dimostrare rispetto. Cinquant’anni fa, era una città dormitorio della miseria, nella Milano che si dilatava e fuggiva, come il mare dietro una nave quando salpa. Una città che cresceva tumultuosa, male, e pure fuorilegge nel piano regolatore.Era un mondo contadino, poderi agricoli, che soccombono a una mutazione piena di errori, e insieme tantissima miseria concentrata alla periferia della Madonnina.Erano gli anni del boom economico. Milano chiamava immigrazione e si espandeva come polmoni pieni d’aria, ma allora nessuno si accorse che, con quella terra dove pascolavano le greggi, la città si stava comportando come un genitore distratto, che non si cura di come sta allevando il proprio figlio. Così fu anche un errore pensare che qui poteva essere il luogo giusto per confinare mafiosi importanti. Si pensò che facendo così si poteva diradare il potere malavitoso nelle terre d’origine. I boss in esilio, invece, seppero attingere nel disagio, fertilizzando il terreno al crimine. E il vecchio "zio", malato di slot, rappresenta l’archeologia fossile di quel bestiale errore.Questi i peccati d’origine di Quarto Oggiaro, quartiere proletario sorto nei "favolosi anni Sessanta" per fornire alloggi popolari alla massa di immigrati che la Stazione centrale sfornava a man bassa. Qui abitavano e qui lavoravano nell’industria metalmeccanica: Alfa-Romeo, Cge, Moneta, Valente, Imperia, Miele. Un mondo scomparso, oggi, rimodellato e meglio adattato alle persone. Ma la macchia scura, sinonimo di criminalità, è dura da sbiancare.«Siamo nati dalla concentrazione di tanta povera gente. Un quartiere urbanisticamente tirato su male, con un eccesso di disagi, sotto varie forme – osserva Antonio Iosa, memoria storica e mente del Circolo Perini –. È inevitabile: dove c’è povertà c’è emarginazione, facili prede per la delinquenza. Il riscatto però c’è stato. Qui non è Scampia né il Bronx. Sì, è forte il disagio, rappresentato dal momento di crisi e disoccupazione. Ma vanno sottolineate le presenze positive dell’associazionismo e del volontariato locale che fanno vivere la vera anima delle persone».C’è stato il recupero di Villa Scheibler e dell’immenso parco. «Seppure ci sono voluti cinquanta anni di battaglie civili», sospira Iosa. E oggi si aspetta che Villa Caimi, altro pezzo di memoria storica di questo nord-ovest di Milano, che ha accolto alcuni protagonisti della politica italiana del dopoguerra, come Lazzati e Dossetti, venga riscattata dall’abbandono: «Decentrare la cultura, aiutando i cittadini a riconoscersi in una comunità», aggiunge Iosa, lapidario.Il “Mario Negri” fu un esempio di come portare il centro in periferia. Decentrando ricerca e cultura, come opportunità di lavoro e di stimolo per la comunità. Purtroppo l’istituto di ricerca è vuoto e chiuso da anni. Gli immigrati arrivano ancora. Ieri erano i “terroni”, oggi i vicini di casa arrivano da Paesi più lontani. E i loro figli che rincorrono un pallone nei cortili, sono i nuovi italiani che parlano due lingue, l’italiano, il mediorientale o il sudamericano, intanto che la storica immigrazione nostrana invecchia in solitudine e pian piano scompare.Quarto Oggiaro era la Siberia. Un giornale scrisse della “barbon city”. Perché qui finiva il viaggio delle valigie di cartone che partivano dal nostro Meridione poverissimo o dal Veneto dissestato. Si aggiungevano alle baracche degli sfrattati milanesi del centro storico e del Ticinese rimasti senza casa in seguito ai bombardamenti della guerra.Negli anni della periferia abbandonata si sviluppa un mondo verticale e orizzontale di palazzine senza strade, senza fogne, senza servizi, senza scuole, senza parrocchia, senza negozi, senza farmacie, senza strade, né collegamenti con la città della Madonnina. E pensare che il piano regolatore dell’epoca destinava quest’area a riserva agricola. Ma nasceva il più grande quartiere popolare mai costruito in Italia. «Ci devono essere dei sogni sulla città – dice don Roberto parroco della chiesa di Santa Lucia –. Dei pensieri che nascono dentro ai quartieri più poveri e più degradati. Perché il numero maggiore di abitanti è distribuito proprio dove ci sono le case popolari».Sotto gli sguardi severi di Ungaretti, Satta, Graf, Trilussa, Capuana, Buzzati, e molti altri nomi che hanno fatto la letteratura italiana, che campeggiano dalle targhe di marmo, a indicare le strade, oggi tutto è un altro mondo, non c’è più lo sgraziato quartiere dormitorio. Battaglie sociali, sindacato e parrocchia, hanno ottenuto il riscatto di una urbanizzazione viva, recuperando tutto il dismesso. Da quelle famiglie con le valigie legate dallo spago sono nati figli divenuti dei dottori, avvocati, giornalisti, campioni sportivi, ricercatori. «Da noi – racconta il parroco – sono tanti gli appartamenti vuoti, anche non assegnati da anni. Abbiamo ormai una grossa predominanza di anziani perché i giovani che si sposano fanno fatica a trovare casa qui. È determinante fare uno sforzo di pensiero sulle scelte da fare da parte di chi ha la facoltà di decidere».Milano è appena al di là del cavalcavia Palizzi, “ad quartum lapidem”, forse la radice del nome, lasciato da una pietra miliare romana. E anche qui si guarda ai benefici dell’evento di Expo 2015, un passo nel futuro del costante trasformarsi di Milano.Purtroppo, però, resta quello stigma del male, del fortino assediato, dove c’è chi convive con una presenza difficile, dove la criminalità organizzata c’è e si fa sentire coi quei burattini che salutano lo "zio" boss e regolano traffici e droga nei sottoscala. «Non nascondiamo la testa sotto la sabbia – dice Iosa –. Ma non facciamone neanche un cliché di quartiere pericoloso e basta. È la “Città”, con i suoi mali e disagi».Via Cesare Pascarella, poeta romano, Via Sabatino Lopez, drammaturgo, strade dense e complicate su cui grava la macchia di Quarto Oggiaro, dove la linea del 57 oltre un certo orario, la sera, non si addentra più. Certo, due o tre vie non sono 35mila residenti, ma qui il peso di un castigo la gente lo vive con l’omertà e il timore, quando incontra l’arroganza ignorante.In via Pascarella, all’angolo con Trilussa, un palo della luce, ricoperto di fiori ormai appassiti e bigliettini d’addio, marca il lato oscuro. Qui il 31 ottobre scorso viene ammazzato un boss, si chiamava Pasquale Tatone, il fratello Emanuele e un amico, venivano giustiziati solo quattro giorni prima. La vera Quarto Oggiaro, però, non la troverete sotto questo totem.
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