giovedì 10 settembre 2015
La denuncia della Cgil. Morto ieri dopo un mese il bracciante in coma.
INTERVISTA Cobolli Gigli: «Ora serve un patto per la legalità»
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Si allunga la schiera dei braccianti morti per il duro lavoro nelle campagne di Puglia e Basilicata. Dopo oltre un mese in coma è deceduto nell’ospedale San Carlo di Potenza Arcangelo De Marco, il  42enne agricoltore di San Giorgio Jonico (Taranto), colpito da un malore a Metaponto il 5 agosto scorso durante l’acinellatura dell’uva. Come la sua concittadina Paola Clemente, 49 anni, che ha perso la vita  il 13 luglio dopo essersi sentita male mentre lavorava tra i vigneti in contrada Zagaria ad Andria. Due casi analoghi sui quali è intervenuta la magistratura. Le inchieste stanno facendo il loro corso per stabilire la cause del decesso ed eventuali responsabilità. Tuttavia, resta la drammatica e inquietante la realtà dello sfruttamento nei campi, delle condizioni durissime in cui operano i braccianti che spesso finiscono nelle grinfie dei caporali. Le morti bianche che hanno lasciato il segno riaprendo uno squarcio sul fenomeno del reclutamento illecito e del bieco sistema ricattatorio. Sono soprattutto le donne, si calcola all’incirca 40mila, ad essere impiegate in maniera irregolare nelle aziende agricole della Puglia. Dati allarmanti che hanno messo in stato di allerta i sindacati specie in questo periodo in cui, oltre all’acinellatura, nell’intera regione comincia la vendemmia, uno dei momenti in cui il fenomeno dello sfruttamento dei braccianti assume proporzioni molto elevate facendo emergere con particolare gravità l’utilizzo irregolare della manodopera femminile. Non sono soltanto italiane ma anche lavoratrici straniere (ben 18.000 impiegate irregolarmente nei campi della Puglia, secondo la Cgil), provenienti soprattutto dall’Est europeo. «Il 60-70 per cento del lavoro nero femminile – sottolinea il segretario regionale della Flai-Cgil, Peppino De Leonardis – si concentra nelle campagne delle province di Brindisi e Taranto e riguarda la raccolta di diversi prodotti, a partire dalle fragole a maggio, passando per le ciliegie, le pesche, l’uva che, in alcune zone, si raccoglie fino a novembre». La maggior parte delle braccianti - secondo il sindacato - è gestito da caporali, sia italiani che stranieri, ai quali viene versata una parte delle somme corrisposte a ogni donna. Per la raccolta dell’uva la paga si aggira intorno ai 25 euro al giorno. Soprattutto dopo la morte sospetta di Paola Clemente si sono intensificati i controlli e le ispezioni nella campagne e nelle aziende agricole da parte dell’ispettorato del lavoro e della forze dell’ordine. Ma, facendo un passo indietro il quadro preoccupante emergerebbe sin dallo scorso anno: nel 2014 è risultato che su 1818 ditte controllate ben 1299 si trovavano in situazioni di illegalità. «A quante pare le irregolarità sono state riscontrate finora in un’azienda su due controllate – fa notare De Leonardis –.  È indispensabile incrementare anche la lotta all’evasione contrattuale, verificando la retribuzione di tutte le giornate lavorate, l’applicazione dei contratti, l’effettiva corresponsione del salario». Secondo il segretario della Flai, in Puglia circa il 70 per cento delle aziende agricole, in particolare quelle nate negli ultimi anni dedite anche alla trasformazione dei prodotti, utilizzano manodopera in nero.  «Esistono 600 aziende dell’ortofrutta – conclude De Leonardis – che lavorano tutto l’anno, ma assumono solo stagionali, molti dei quali in maniera irregolare. Nel Barese, per esempio, caporalato e sfruttamento sono fenomeni che riguardano soprattutto le aziende di trasformazione e le lavoratrici italiane. La Puglia era all’avanguardia nella legislazione ma ora è in ritardo nella sua applicazione».Sulla necessità di applicare la legge 10/2014 interviene anche il segretario generale della Cisl di Puglia e Basilicata, Giulio Colecchia: «È indispensabile premiare le buone prassi e penalizzare le aziende che operano in maniera irregolare per restare all’interno di un sistema di legalità. Sarebbe fondamentale far capire ai datori che chi viola la legge perde i finanziamenti acquisiti e non ha diritto ad averne altri». Al massimo entro ottobre, secondo i ministri della Giustizia Andrea Orlando e dell’Agricoltura Maurizio Martina, partirà un poker di misure che prevede, in primo luogo, la confisca dei beni: terreni e prodotti, frutto del reato, saranno espropriati, così come quelli nelle disponibilità del condannato per il valore equivalente alla ricchezza generata. A seguire, i ministri intendono introdurre la stessa azione di confisca anche sul patrimonio di quelle aziende che commettono il reato per interposta persona.Al terzo punto, Orlando e Martina inseriscono la responsabilità in solido delle aziende che sfruttano spesso costituite in forme associative. Infine l’inserimento delle vittime del caporalato nell’elenco di coloro cui lo Stato riconosce un indennizzo.
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