lunedì 18 aprile 2016
Le tre famiglie portate a Roma da papa Francesco ospiti della comunità di Sant'Egidio. Prime giornate dense. Un'operatirice: "Sono increduli, la loro vita è cambiata". Ecco chi sono i 12 siriani arrivati da Lesbo
I profughi di Lesbo si sentono già a casa
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Sabato sera, all'arrivo nella casa della Comunità di Sant'Egidio che li ospita nel rione Trastevere, una grande festa con una "cena siriana", ma con l'aggiunta di specialità italiane "che hanno gradito moltissimo". Domenica le prime fasi dell'adattamento alla nuova vita e alla realtà circostante - tra cui già l'iscrizione alla scuola di italiano -, qualche visita medica per i bambini, le telefonate dei parenti da ogni dove, meravigliatissimi di averli visti in tv, niente meno che con il Papa. E tanti, tanti ringraziamenti al Pontefice. Sono trascorse così le prime 24 ore a Roma per i dodici profughi siriani, tutti musulmani - tre famiglie, con sei bambini e ragazzi - che Francesco ha portato con sé sul volo di ritorno dall'isola greca di Lesbo. I presenti descrivono come "una bellissima festa" quella con cui le tre famiglie, stanchissime, ancora un pò disorientate ma felici, sono state accolte sabato sera nella struttura di Sant'Egidio. "Una cena siriana, preparata da altri nostri ospiti venuti a Roma con i corridoi umanitari, e offerta da un ristorante siriano", racconta Daniela Pompei, responsabile del servizio della Comunità con i migranti, andata nei giorni scorsi a Lesbo in avanscoperta per mettere in pratica il desiderio del Papa di portare con sé un gruppo di rifugiati e che poi li ha accompagnati nel volo verso Roma. "Sono stati però aggiunti piatti italiani - spiega -, un tipo di cucina che loro avevano già gradito durante il pranzo offerto in aereo e che hanno apprezzato moltissimo". Poi, finito il primo clamore, praticamente distrutti dalla stanchezza, tutti a letto negli alloggi loro riservati nella struttura. ECCO CHI SONO LE TRE FAMIGLIE ARRIVATE IN VOLO CON IL PAPA"La loro vita è cambiata in poche ore", sottolinea Daniela. Niente a che vedere con la situazione precaria del campo profughi: non parliamo poi degli orrori lasciati alle spalle nell'inferno siriano, sia a Damasco che nei territori occupati dell'Isis, fino alla traversata in gommone dalla Turchia, come accaduto ad esempio per Hasan e Nour, coppia di ingegneri biochimici, con il figlio di due anni. Domenica dopo il riposo, la prima incombenza, di cui tutti chiedevano già ieri, é stata l'iscrizione alla scuola di italiano per stranieri, che Sant'Egidio gestisce a Roma da trent'anni. "L'integrazione - dice Pompei - passa anche per la conoscenza della lingua". E bisogna sentirlo, il bimbo di due anni che ripete tutte le parole che gli vengono dette in italiano. Rami e Suhila, di Deir Azzor, zona conquistata dai miliziani del Califfato, lui insegnante e lei sarta, tre figli (una bambina piccola, Quds, che significa "città santa", cioè "Gerusalemme", talmente simpatica da essere già diventata la mascotte di tutti, e due ragazzi di 15 e 17 anni), hanno ricevuto tante telefonate dai parenti da Damasco, da altre zone della Siria, dal Libano: "vi abbiamo visti nei telegiornali di tutto il mondo!", gli dicevano stupiti. I due piccoli di Osama e Wafa, di sei e cinque anni, ieri avevano la febbre, ma oggi stanno già meglio, giocano, sono allegri. Una scelta precisa è stata quella di far stare il gruppo in città, non fuori, quindi a contatto diretto con la vita sociale circostante. "Questa è anche la chiave per un inserimento immediato, a noi interessa dare loro una possibilità per un'integrazione più rapida", spiega Pompei. Le tre famiglie hanno già cominciato a muoversi a Trastevere, alla scuola di italiano ci arrivano da sole. Hanno avuto anche dei buoni-spesa per comprare quel che loro più serve al supermercato. Insomma, hanno già superato lo spaesamento delle primissime ore. "Per quello che ci riguarda - aggiunge l'operatrice di Sant'Egidio - abbiamo facilitato la realizzazione di questo desiderio del Papa. Li aiuteremo in questa fase iniziale. Poi, per il futuro, sì vedrà".
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