mercoledì 5 settembre 2012
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​«La» Piave, il fiume sacro alla patria, che i bellunesi chiamano al femminile, nasce ai piedi del monte Peralba, sul confine con l’Austria: parla veneto, ma anche friulano. Almeno per i primi 8 chilometri in cui attraversa Sappada, isola d’antico idioma germanofono, impegnata da anni, anche con tanto di referendum, a ritornare al Friuli entro la fine di questa legislatura. Non si sa, però, se il Parlamento ce la farà a concretizzare il sogno di questa valle, approvando la legge costituzionale di cambio del confine. Sappada, peraltro, è già friulana, in quanto appartiene storicamente all’arcidiocesi di Udine. Cinto Caomaggiore, nel basso Veneto, ha seguito la stessa trafila referendaria. Anche questa comunità usa il dizionario friulano. Eppure siamo in provincia di Venezia. Renato Querini, il sindaco, è convinto che il suo Comune ce la farà a traslocare rapidamente in provincia di Pordenone. Come dire che il popolo friulano, oggi composto da più di 600 mila persone che adoperano la marilenghe, si sta ampliando. Perfino fuori dei confini, nel mondo intero, con i fogolars furlans. E con tutta una varietà di specificità territoriali, che in quanto tali costituiscono la ricchezza della lingua minoritaria. Il carnico, ad esempio, è perfino talvolta incompreso da coloro che coltivano la koiné, la purezza del linguaggio. E le valli della montagna, dal Tagliamento al Tarvisiano, si differenziano non solo nella parlata ma per storia, tradizioni, intraprendenza verso il futuro. E in taluni casi accolgono, nel loro stesso grembo, altre minoranze, dai tedeschi di Sauris e Timau, ai resiani (origine slava) della Val Resia. Ed è un santuario, quello del monte Lussari, l’icona di questo pluralismo linguistico. Lassù si parla, si prega, si canta in friulano, italiano, sloveno e tedesco. «Il furlan al è ricognossût tant che lenghe minoritarie de Union europeane, dal Consei de Europe, dal Stât talian e de Regjon Autonome Friûl Vignesie Julie», spiegano, nella loro lingua, Lorenzo Zanon e William Cisilino, presidente dell’Arlef, il primo, direttore il secondo. L’Arlef è l’agenzia regionale che si occupa di mantenere sempre più vivo e praticato il friulano. Da Pasolini a Riedo Puppo è lunga ed autorevole la teoria degli autori in friulano. La lingua è da anni insegnata sia nelle scuole dell’obbligo che alle università. La prossima settimana si aprirà il nuovo anno scolastico  e sono ben 39.236 gli alunni delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado che hanno richiesto l’insegnamento del friulano, con un incremento del 29% rispetto all’anno in corso. «Sarà possibile avviare gradualmente, per almeno un’ora settimanale, l’insegnamento della marilenghe nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie per complessivi 31.600 alunni - spiega l’assessore regionale Roberto Molinaro -. Parallelamente gli studenti delle scuole secondarie di primo grado, complessivamente 7.563, continueranno ad essere coinvolti in progetti specifici». L’aumento delle richieste dell’insegnamento «è davvero incoraggiante in un momento in cui il Governo, di fatto, vuole declassare la lingua friulana a dialetto locale», insiste Molinaro, anche perché in tutti i comuni delimitati le scelte sono state superiori al 50% degli alunni iscritti, intorno al 55% nelle province di Gorizia e Pordenone e con un 74% nella provincia di Udine. «Non è quindi una scelta di pochi, ma di una maggioranza delle famiglie, alla quale la scuola è chiamata a corrispondere». È stata la ’’spending review’’ a declassare il friulano da lingua a dialetto. Il governatore Renzo Tondo, incontrando la scorsa settimana il ministro dell’istruzione, Francesco Profumo, ha preannunciato il ricorso alla Corte Costituzionale.
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